sabato, 20 Aprile 2024

Dal Sahel all’Australia, gli alti e bassi della Francia nel mondo

È stata una settimana intensa per la Francia di Emmanuel Macron, ricca di colpi di scena, tra la conferma dell’uccisione di un capo dello Stato islamico nella regione del Sahel e un voltafaccia improvviso da parte dell’Australia. Un successo nella lotta al terrorismo seguito da una clamorosa débâcle nell’area indo-pacifica.

L’antiterrorismo francese in Africa occidentale

Da anni la Francia è alle prese con le attività di numerosi gruppi jihadisti che infestano la fascia del Sahel, quella buffer-zone turbolenta posta tra il deserto del Sahara e l’Africa subsahariana. In particolare, nella zona dei “tre confini” tra Mali, Niger e Burkina Faso i jihadisti hanno provocato diversi attentati contro civili e militari stranieri. In questo contesto era attivo Adnan Abu Walid Al Sahrawi che nel 2015 aveva fondato lo Stato Islamico del Grande Sahara (conosciuto con l’acronimo francese EIGS). Il gruppo aveva ottenuto il riconoscimento da parte dell’ISIS stesso, quando nel 2019 aveva ucciso quattro soldati americani in un attentato.

La parabola di Al Sahrawi termina con la sua uccisione da parte di un drone francese lo scorso 17 agosto. Dopo che è stata resa nota l’identità del corpo, il 16 settembre Macron ha annunciato in un discorso la morte di Al Sahrawi, definendola come un altro grande successo contro il terrorismo.

Ed è così che uno scenario spesso dimenticato torna di nuovo all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica transalpina. Un teatro in cui la Francia e altri paesi sono presenti da diverso tempo (anche l’Italia con le sue missioni operanti in Niger) per ridimensionare la minaccia del terrorismo islamico, ma anche per contrastare i fenomeni migratori verso l’Europa.

Le incognite della missione della Francia nel Sahel

Tuttavia, nessuno sa come districarsi dalla regione, prima fra tutti la Francia. Come fa notare Daniele Raineri per Il Foglio, la situazione ricorda molto l’Afghanistan: la presenza militare straniera permetteva di contenere i talebani ed era l’unico attore in grado di impedire al gruppo islamista di conquistare il potere. E proprio come negli USA, anche in Francia dopo molti tentennamenti l’idea di abbandonare la missione nel Sahel si è concretizzata. Infatti, a giugno Macron aveva annunciato la fine dell’Opération Barkhane che coinvolgeva 5.000 soldati francesi nella lotta contro il jihadismo in cinque paesi africani.

L’eliminazione di Al Sahrawi è giunta durante un graduale disimpegno dal quadro saheliano, lontano dai cittadini francesi che ormai non lo considerano più una priorità. Al contrario, l’opinione pubblica vive lo sforzo militare in Africa come un peso ormai ingiustificabile che dal 2013 è costato la vita a 50 soldati francesi. Una guerra impopolare in madre patria, analogamente all’annosa questione dell’Afghanistan per i cittadini statunitensi.

Rimane ancora da definire come evolverà la situazione nel Sahel, ora che il capo di Daesh nel Grande Sahara è morto. Ora si teme che la regione possa sprofondare ulteriormente nel caos a causa della frammentazione in varie fazioni guidate degli ex collaboratori di Al Sahrawi.

Operation Barkhane - Alchetron, The Free Social Encyclopedia
La presenza militare francese nel Sahel (Fonte).

La questione dei sottomarini tra Francia e Australia

Lasciando da parte lo scenario del Sahel, a distanza di pochi giorni la Francia ha subito una grossa delusione da parte dell’Australia sul piano strategico-militare. Infatti, il primo ministro australiano Scott Morrison ha annullato il contratto con la francese Naval Group per la costruzione di alcuni sottomarini militari. L’accordo da 90 miliardi di US$ non è andato in porto a causa di una mossa improvvisa da parte dell’Australia: la siglatura dell’alleanza AUKUS con Stati Uniti e Regno Unito. Lo scopo è quello di costruire preziosissimi sottomarini nucleari da destinare alla marina australiana.

Anche se non è esplicito, si tratta velatamente di un’alleanza strategica contro la Cina, siccome i rapporti tra l’Australia e il gigante asiatico sono pessimi. L’arresto di cittadini australiani, lo spionaggio, e il furto di segreti industriali sono alcuni fattori che hanno deteriorato le relazioni tra i due paesi assieme alla richiesta di Morrison di condurre delle indagini sulle origini del Sars-Cov-2. Ma a preoccupare l’Australia è soprattutto l’influenza cinese proiettata sul Pacifico, attraverso una marina militare sempre più vigorosa. Il contratto con la Francia (risalente al 2016) doveva ovviare al senso di insicurezza che l’Australia vive da diverso tempo nell’area.

“Una pugnalata alla schiena” nell’Indo-Pacifico

Mentre Pechino ha giudicato l’AUKUS alla stregua di un patto strategico risalente alla guerra fredda, il governo francese è restato con un pugno di mosche. Un colpo di scena inaspettato, dal momento che la notizia dell’accordo tra i tre paesi anglosassoni è giunta a Parigi poche ore prima della sua stipula. Le accuse rivolte all’Australia sono di aver tenuto un comportamento scorretto e di essere inaffidabile. Conseguentemente Parigi ha richiamato i suoi ambasciatori da Washington e Canberra.

Ma il peggio è stato la grossa delusione inflitta dagli USA. Macron, spazientito, ha prontamente chiesto spiegazioni alla Casa Bianca dalla quale non ci si aspettava un comportamento simile, impensabile per due paesi alleati. Il Ministro degli Esteri francese Le Drian ha deplorato l'”assenza di coerenza” nelle azioni statunitensi, in un momento in cui, assieme all’Australia, entrambi i paesi stanno affrontando “sfide senza precedenti nella regione indo-pacifica”.

A guadagnarci sono stati in primo luogo gli australiani, ovviamente, ma in maniera più importante gli Stati Uniti. Infatti, l’AUKUS è arrivato sulla scia di un altro accordo anti-cinese, il QUAD tra India, Giappone, USA e Australia. Ma ora, passando ai fatti il “club” diventa ancora più esclusivo, mentre gli Stati Uniti cercano di riconquistare la fiducia della Francia e per giunta dell’UE.

Nonostante i successi della Francia contro il terrorismo nel Sahel, il rifiuto dei sottomarini sembra segnare un’ulteriore discesa dell’Europa all’irrilevanza in politica estera. Questo, sommato alla tendenza a disimpegnarsi da alcuni scenari, relega in secondo piano il ruolo del vecchio continente in favore di altri attori, primo fra tutti gli USA.

Massimiliano Marra
Massimiliano Marrahttps://www.sistemacritico.it/
Di radici italo-cilene ma luganese di nascita, attualmente studio economia e politiche internazionali all’Università della Svizzera Italiana e mi interesso di storia e relazioni internazionali con un occhio di riguardo ai contesti extraeuropei. Nel tempo libero suono il basso elettrico e vado in burn out di musica.

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