venerdì, 29 Marzo 2024

Edipo Re: dall’antica Grecia al Giappone degli anni ’60

La tragedia sofoclea “Edipo Re” è stata più volte oggetto di trasposizioni cinematografiche. Dalla chiara ripresa integrale del mito nell’ “Edipo Re” di Pasolini, interpretato da Franco Citti e Silvana Mangano, fino alla sua proiezione in un ambiente contemporaneo e rivisto come quello del film “Angel Heart” di Alan Parker, interpretato da Mickey Rourke e Robert De Niro. Una tragedia perfetta dunque, che ben si adatta ad ogni tipo di ambientazione e contesto, a causa dell’immortalità del tema proposto: quello dell’indagine sull’io, sulla proprio identità, che ha sicuramente attraversato un periodo di grande ascesa nella contemporaneità anche grazie alla nascita della psicoanalisi e agli studi freudiani riguardanti il subconscio.

Se provassimo ora a spostarci dal cosiddetto mondo occidentale, verso est, potremmo scoprire che il mito di Edipo è divenuto anche il pilastro letterario sul quale costruire un film che vuole mostrare la crisi della cultura giapponese nel periodo post-bellico. La pellicola in questione, nella quale la cultura tipica giapponese entra in contatto con quella occidentale, è “Funeral Parade of Roses” (1969). Il regista, Toshio Matsumoto, vuole raccontare il decadimento dei valori del proprio paese utilizzando come medium una pietra miliare della cultura dell’Occidente.

Il protagonista del racconto è Eddie, nome che da subito crea un chiaro collegamento con il protagonista della tragedia di Sofocle, un giovane omosessuale travestito che lavora in un bar gay di Tokio, il bar Genet, anch’esso riferimento alla cultura lgbt. Genet è stato infatti un romanziere francese, icona della letteratura gay. Il proprietario del locale è  Gonda, un uomo di mezza età che ci riporterà alla figura di Giocasta. Gonda ha un’amante, Leda, una drag queen che, come Eddie, lavora per lui. Inoltre egli ha segretamente intrapreso una relazione amorosa con il giovane protagonista. Altra figura importante all’interno della narrazione filmica è Guevara, amico di Eddie e alter ego del regista, che svolge la funzione di Tiresia, indovino cieco della mitologia greca.

L’intera vicenda è costruita sull’abolizione della consequenzialità cronologica degli avvenimenti, chiara manifestazione dell’identità tormentata e dei ricordi confusi del protagonista, che ci vengono proposti spesso attraverso il ricorso alla soggettiva, inquadratura che mostra il punto di vista del personaggio. Quello che è chiaro fin da subito, nonostante l’aspetto sperimentale e spiazzante della costruzione filmica, è che Eddie ha perso una parte di sé, della sua memoria. Una parte del suo passato è stato oggetto di rimozione inconsapevole e cerca di riaffiorare in ogni modo attraverso associazioni improbabili di immagini e flashbacks confusi: un ragazzo cade dalla bicicletta, un uomo è steso a terra ad una delle tante manifestazioni che movimentarono il Giappone dopo la guerra e per un secondo una donna ricoperta di sangue appare davanti agli occhi dello spettatore.

Per scoprire il vissuto celato di Eddie, che causa nella sua mente attimi così confusi e drammatici, non resta che lasciarsi incuriosire da questo breve articolo e andare alla ricerca di questa pellicola, forse lontana anni luce dai nostri gusti cinematografici e dall’estetica hollywoodiana a cui siamo abituati. Aprire i nostri orizzonti però non sarà un peccato. La sola sequenza iniziale, ripresa dal modello estetico di “Funeral Parade of Roses” e quindi evidente citazione di “Hiroshima mon amour” di Resnais, potrebbe valere i 105 minuti della durata del film, costellato da immagini e sequenze allucinanti e tecniche che riescono a distruggere completamente i canoni classici del cinema. Un piccolo esempio sono le interviste ai personaggi e le reali riprese documentaristiche che sono inserite all’interno della dimensione diegetica della proiezione. Un film quindi che si rivela  un intenso dialogo intersemiotico tra letteratura, teatro e cinema, che unisce culture diverse, tratta le tematiche scottanti  del Giappone degli anni ’60 e lo fa appoggiandosi ad un pilastro culturale del nostro mondo come il mito di Edipo. Niente di meglio quindi per aprire i nostri orizzonti sul vasto mondo della settima arte e lasciarci sconvolgere da esso.

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