giovedì, 25 Aprile 2024

Le donne e gli amori nella letteratura di Fëdor Dostoevskij

Uno scrittore che nasconde una storia

Di fronte all’enorme produzione letteraria dostoevskiana ci si imbatte in un’articolata, a volte spiazzante, disanima di ogni pensiero, desiderio, tortura e piacere dell’essere “uomo”.

All’interno delle tematiche sviscerate nei suoi capolavori saltano all’occhio le dispute della mente umana, le scissioni dell’anima e le tesi filosofiche che sfociano, a volte, in meravigliosi excursus teologici.

Con molta probabilità, però, non si sentirà mai parlare di Dostoevskij nei termini di autore “dell’amore” o “delle donne”. Ciò accade per Pablo Neruda, Catullo o Jacques Prevert. E’ vero che questi sono principalmente poeti e che nella prosa è più difficile individuare autori che si siano dedicati quasi esclusivamente a tematiche amorose; ma è anche da riconoscere che il diretto concorrente alla palma di autore russo più letto, Lev Tolsoj, all’attrazione romantica ha dedicato quello che insieme a Guerra e Pace è il suo chef-d’œuvre: Anna Karenina. Anche Karamzin ha dedicato le sue opere più note a personaggi femminili.

L’amore nei romanzi di Dostoevskij

A prima vista, infatti, l’aspetto amoroso, sessuale e “femminile” risulterebbe essere collaterale rispetto ai temi di grande respiro e alle pulsioni che animano i protagonisti dei romanzi dostoevskiani. In realtà, da sagace conoscitore dell’animo umano, Dostoevskij ha inserito, nascoste fra le pagine della sua bibliografia, donne e ragazze indimenticabili. Donne e ragazze che, nonostante non abbiano sempre il primo piano della scena (quasi sempre riservata a controverse personalità maschili), escono dalla sua penna come sfaccettate versioni del mondo femminile.

Nei suoi romanzi emerge anche il rapporto “conflittuale” che hanno alcuni uomini “depravati” come Fëdor Karamazov o Stavrogin, che esprimono la loro attrazione con la violenza. E questa è una condizione direttamente allacciata alla vicenda biografica di Dostoevskij. Suo padre Michail Andreevič, dedito quasi esclusivamente alla depravazione e all’alcool, venne ucciso l’8 giugno 1839 da un gruppo di contadini. L’omicidio fu provocato presumibilmente da alcuni stupri perpetrati nei confronti delle giovani contadine che lavoravano all’interno dei possedimenti di famiglia Dostoevskij.

Memorie del sottosuolo: amore e controversia

La questione paterna segnerà profondamente Dostoevskij, tanto da trasportarsi negli stupri fittizi narrati nelle sue opere e distorcere la sua visione dell’amore e delle relazioni. L’uomo del sottosuolo verso la fine delle sua confessione ammette: “Anche nei miei sogni del sottosuolo non mi sono mai figurato l’amore se non come una lotta, l’ho sempre cominciata con l’odio e terminata con soggiogamento morale, e perciò non potevo nemmeno più immaginarmi che cosa dovevo fare dell’oggetto soggiogato.”

Dunque, tra le righe si riesce a leggere il lato più intimo e tormentato del suo autore. Dostoevskij, da un lato per la sua biografia, dall’altro mosso dalla sua inquietudine, sembra a volte far emergere una visione dell’amore ossessiva e deviata.

Sarà anche e soprattutto questa concezione erronea dell’amore che porterà all’allontanamento dalla protagonista femminile di Memorie del sottosuolo (1864): Liza. La protagonista entra a pieno titolo nella lista delle eroine dostoevskiane. Illusa e umiliata, Liza mantiene la sua dignità nonostante mostri la fragilità della sua giovane età e del continuo tarlo insinuato in lei dall’uomo del sottosuolo. Infatti, Liza è l’essere indifeso su cui mette in atto la propria ricerca di rivalsa e di uscita dai cunicoli sotterranei dentro i quali si aggira. E’ l’unico modo che ha per liberarsi dall’umiliazione che prova rendendosi conto di aver sbagliato a invitare Liza presso casa sua: la manda via gettando su di lei tutta la sua frustrazione. Un’occasione mancata, per l’uomo del sottosuolo, a cui non rimane altra scelta se non quella di rintanarsi ancora nei cunicoli.

Delitto e Castigo: Sof’ja Semënovna Marmeladova

Un’altra giovane donna costretta alla prostituzione, ma determinata e allo stesso tempo emblema di tenerezza, è sicuramente Sof’ja Semënovna Marmeladova di Delitto e Castigo (1866). Profondamente religiosa, Sof’ja rappresenterà la salvezza terrena di Raskolnikov: la sua Beatrice. Le scene meno claustrofobiche, più liriche e intrise di misticismo di Delitto e Castigo sono quelle in cui la protagonista è proprio lei. Sof’ja, a differenza delle donne angelo degli stilnovisti è presente. Lei è al fianco di Raskolnikov nella sua discesa agli inferi e nella sua progressiva, sofferta, ma straordinariamente luminosa parabola di risalita. È proprio Sof’ja, infatti, a ricercare la presenza di Rodion con la sua risolutezza e la sua intensa spiritualità. Grazie lei ci sarà l’inizio della redenzione di colui che finirà per amarla di un amore profondo, amore che però necessiterà di tempo ed elaborazione per essere da lui pienamente ammesso.

Delitto e Castigo: tante donne, tutte diverse

Sono emblematiche anche le altre figure femminili del romanzo, che finiscono per rappresentare la maggior parte dei personaggi comprimari. Le vittime del piano omicida di Raskolnikov, Alëna e Lizaveta Ivànovna sono proprio due donne, simboli di due mondi diversi pur essendo sorelle. Da un lato c’è una donna considerata una cinica usuraia e un “pidocchio” da eliminare; dall’altro una vittima innocente: Lizaveta, dolce amica di Son’ja, vittima di un destino da lei incontrollabile (l’alleniana questione sulla fortuna che muove la pallina da tennis da una parte all’altra della rete in Match Point). Infine, un’altra importante presenza femminile è quella della sorella di Raskolnikov, Avdot’ja Romànovna Raskol’nikova, soprannominata Dunja. Bellissima e gentile, Dunja è amorevole nei confronti di sua madre e di suo fratello, caparbia e risoluta nella sua scelta di sposare Luzin, di cui non è innamorata, per aiutare la sua famiglia. Nonostante questo, grazie ad una sorta di karma dostoevskiano complesso, a volte equo e altre ingiusto, verrà ricompensata dal matrimonio d’amore con Razumichin.

Le tre madri nel romanzo I Fratelli Karamazov

Altrettanto ben caratterizzate (ma mai scadendo in banali stereotipi), sono le tre madri dei Fratelli Karamazov (1878-1880), Adelaida Ivanovna Mjusova e Sofija Ivanovna e la povera Lizaveta Smerdiasciaja. Tutte e tre differenti tra loro e assenti dalla vita dei loro figli (contrapposte in un certo senso alla madre di Raskolnikov, Pul’chèrija Aleksàndrovna Raskol’nikova, la quale, sebbene ingenuamente, si interfaccia in continuazione con la vita di suo figlio).

La prima, Adelaia Ivanovna Mjusova, madre di Dmitrij, si è ritrovata sposata a Fedor non per amore, ma per scappare da una condizione familiare. La seconda, Sofija Ivanovna (madre di Ivan e Aleksej) a causa del trattamento meschino messo in atto contro di lei da suo marito, diventa una klikuša affetta da terribili convulsioni e in preda ad un costante delirio religioso (una malattia mentale che in un certo modo ricorda la malattia della prima moglie di Dostoevskij). E infine Lizaveta Smerdiasciaja, madre del Karamazov, illegittimo che da lei prende il nome, Smerdjakov. Lizaveta Smerdiasciaja, donna poco attraente e allontanata dalla comunità, rimane incinta e muore di parto dopo lo stupro perpetrato da Fëdor, vissuto da lui come atto goliardico messo in atto sotto i fumi dell’alcol. Un personaggio tragico, vittima di una mentalità maschilista e depravata come quella incarnata da padre Karamazov.

Le giovani protagoniste de I Fratelli Karamazov

E’ necessario non tralasciare le due giovani donne protagoniste de “I Fratelli Karamazov”, Grušenka e Katerina Ivanovna. La prima orgogliosa, focosa, piena di fascino e tentatrice sedurrà sia Fëdor Karamazov che suo figlio Dmitrij in maniera volutamente libertina e scherzosa. Ma come per ogni personaggio ben strutturato e tridimensionale, il lettore si rende conto che ìla giovane agisce così per vendicarsi, più o meno efficacemente, del male da lei provato a causa dell’abbandono dell’ufficiale polacco di cui era innamorata e dello sfruttamento da parte di un avaro uomo maturo. In aperto conflitto con Grušenka è Katerina Ivanovna, in quanto fidanzata di Dmitrij. Anche lei è estremamente orgogliosa e cerca in ogni modo di giocare la parte della vittima nella relazione con Dmitrij, nonostante si parli a più riprese di un rapporto con un altro Karamazov, Ivan. Infine, interessante e moderna è sicuramente la figura di Varvara Petrovna de I demoni (1873). Varvara Petrovna è emblema di una femminilità nuova, intraprendente ed emancipata. Varvara Petrovna è infatti una sorta di mecenate, donna di classe e cultura, estremamente generosa, ricca ed indipendente.

I personaggi femminili nei racconti brevi

Ma non è solo nei romanzi che si possono incontrare carismatici personaggi femminili, ma è anzi in due dei suoi racconti brevi che troviamo le indimenticabili Nasten’ka de Le notti bianche (1848) e la protagonista de La mite (1876). Ancora una volta, la salvezza sotto forma di una donna. Ancora una volta, però, questa donna non è una “damsel in distress”, o un’ eterea presenza intangibile come le donne angelo trecentesche, e nemmeno una femme fatale.

Nasten’ka, Le notti bianche

Nasten’ka svolge per il protagonista del breve racconto la stessa funzione che Liza funge per l’uomo del sottosuolo: quella di una riscossione. In questo caso non è dagli inferi, ma dai sogni che hanno finito per intrappolare il protagonista in un mondo irreale e costruito da cui è per lui difficile uscire. Nasten’ka sembrerebbe in grado di poter salvare il sognatore dai suoi deliri onirici, ma saranno proprio la sua maturità e determinazione nel portare avanti un amore che attende ormai da un anno a impedirlo. Proprio come fa accadere fra Liza e l’uomo del sottosuolo, Dostoevskij rompe il salvifico incantesimo che ha gettato sui suoi personaggi esattamente nel momento in cui si potrebbe dire vicina la rivalsa.

Dunque, rimangono a terra soltanto i brandelli di quello che sarebbe potuto essere ma che per un punto di rottura, un discrimen, non potrà mai aver luogo.

La mite

Un’altra storia d’amore sfortunata, complessa e disturbante è quella narrata ne La mite. Dostoevskij prende spunto da una storia vera: il suicidio di una giovane sarta, Mar’ja Borisova, (definita dai giornali come “mite”, appunto) la quale si era tolta la vita poiché non riusciva a trovare lavoro.

Dostoevskij cuce insieme una vicenda tragica e un’ altra narrazione maschile in prima persona, che sembra uscita da Memorie del sottosuolo. Nell’autore la disperazione non è economica, ma amorosa, il tormento dell’anima. La meravigliosamente descritta e struggente visione del marito dinanzi al corpo morto della sua giovane moglie steso sul tavolo non era nuova a Dostoevskij, che ha ricalcato le sensazioni provate di fronte al cadavere della sua prima moglie, narrate in alcuni suoi appunti.

Nessuno si salva da solo: sembra essere la triste verità affermata da La mite. Per uscire dal sottosuolo si cerca sempre qualcuno che abbia in mano una lanterna come la nostra, per fare più luce. Eppure a volte quelle lanterne non si incontrano mai, oppure si spengono poco dopo essersi sfiorate. Il protagonista si rende conto troppo tardi dell’importanza di quella lanterna amica: quando è ormai giunta l’ora di seppellire la giovane amata.

Le donne di Dostoevskij nella vita reale

In tutto ciò, la vita privata di Dostoevskij si interseca con la finzione romanzesca e le sue donne sono state parte integrante dell’ispirazione letteraria. Tre sono le donne che hanno caratterizzato la vita dell’autore: le sue due mogli e la donna con la quale, nonostante il grande amore di lui, non riuscirà mai a instaurare la relazione che lo scrittore avrebbe voluto.

Maria Dmitrievna Isaeva fu la sua prima moglie, sposata nel 1857, ispiratrice della Natasha di Umiliati e offesi (1861). Quando i due si conobbero lei era sposata con un sottufficiale e aveva un figlio, Pavel. Il marito di Maria Isaeva era malato e morì poco dopo. Nonostante Dostoevskij fosse all’epoca un modesto scrittore agli esordi, la convinse a sposarlo. Ma l’amore che legherà i due sarà, fino alla morte di lei, un amore quasi fraterno. Il loro non è un amore viscerale e totalizzante: è guidato più dalla compassione che dalla passione. Tutto ciò che la relazione con la sua prima moglie non era stata in grado di dargli, gli venne restituito da Apollinaria Prokofyevna Suslova, ragazza sveglia e attraente. L’universitaria ventiduenne conobbe Dostoevskij, quarantaduenne, durante una delle serate di letture pubbliche da lui tenute. Dostoevskij era ancora però legato a Maria Isaeva e non poteva vivere la relazione con Suslova alla luce del sole. Dopo una serie di allontanamenti e tradimenti da parte di lei, la giovane ammise al suo amante di non avere nessuna intenzione di sposarlo.

Apollinaria: l’amore totalizzante di Dostoevskij

L’amore per Apollinaria fu l’amore viscerale e totalizzante che lo scrittore cercava, ma che gli causò non poco dolore. Apollinaria Suslova è indiscutibilmente la Polina de Il giocatore, ma alcuni dei suoi tratti sono riconoscibili anche in altre eroine dostoevskiane, come la determinata Dunya di “Delitto e Castigo”. E fu proprio Il giocatore (1866) a essere il libro galeotto per Dostoevskij e Anna Grigorievna Snitkina, la stenografa che lo aiutò nella stesura. I due si sposarono nel 1867 e il matrimonio, felice ed equilibrato, durò fino alla morte dello scrittore, sopraggiunta nel 1881. Una vita intessuta con l’arte, dolore vissuto mescolato con quello creato dall’inchiostro, figure femminili forti, fragili, amanti appassionate o sottomesse, tragiche, paradigmatiche ma tutte estremamente vere, tangibili, da odiare o amare, o entrambe le cose insieme.

Ecco il micro (o macro?) cosmo femminile di Fedor Dostoevskij, di cui sono state esaminati soltanto alcuni aspetti. Ma sul quale, come per ogni stanza dell’enorme palazzo letterario costruito dall’autore russo, si potrebbe guardare in ogni angolo (pur avendo sempre la percezione che ci sfugga qualcosa). Ed è quel qualcosa che dobbiamo avere il coraggio di cercare o, con ardore e rispetto, di creare.

Veronica Orciari
Veronica Orciarihttps://www.sistemacritico.it/
Classe 00. Nata a Fano, dopo la maturità classica ho deciso di spostarmi nella città che più amo al mondo, Roma, per seguire il corso di lingue alla Sapienza. Studio lingua, storia e letteratura russa, ma odio il freddo. Adoro il cinema oltre ogni cosa e infatti mi sto diplomando in Critica e Giornalismo Cinematografico presso Sentieri Selvaggi. Insieme a due mie amiche ho dato vita al festival culturale per giovani "SayFest Fano". Adoro mangiare, vivere per un po' in giro per l'Europa e scrivere poesie.

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