sabato, 27 Aprile 2024

Su Bones and All e Pearl: di mostri e desiderio

Bones and All di Luca Guadagnino e Pearl di Ti West, entrambi presentati in anteprima alla 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, sono due pellicole che dialogano nel raccontare il desiderio attraverso – e partendo da – esistenze mostruose.

Il cannibalismo come condizione e metafora

Canto il corpo elettrico,
le schiere di quelli che amo mi abbracciano e io li abbraccio,
non mi lasceranno sicché non andrò con loro, non risponderò loro,
e li purificherò, li caricherò in pieno con il carico dell’anima.

È mai stato chiesto se quelli che corrompono i propri corpi nascondono se stessi?
E se quanti contaminano i viventi sono malvagi come quelli che contaminano i morti?
E se il corpo non agisce pienamente come fa l’anima?
E sei il corpo non fosse l’anima, l’anima cosa sarebbe?

Walt Whitman

Bones and All, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Camille DeAngelis, si presenta come un road movie tra il racconto di formazione e l’horror. Maren, interpretata da Taylor Russell, abbandonata dal padre, si trova a dover intraprendere un viaggio – fisico – alla ricerca di sua madre – e non – e della sua identità. Nel dover imparare a sopravvivere nonostante le sue spaventose e indicibili pulsioni, conosce Lee, interpretato da Timothée Chalamet, che cerca invece di mostrarle come poter convivere con quelle pulsioni, che poi sono pure le sue.

I thought I was the only one.

Maren e Lee hanno fame di carne, di carne umana, una fame connaturata nel loro essere, che non trova spiegazione e nemmeno la necessita. La loro natura è ciò che lì rende reietti, che li costringe a una vita ai margini, ma è anche ciò che li porta ad avvicinarsi, che li unisce nel sogno di una vita normale. Cannibali, e quindi mostri, ma anche ragazzi soli e desiderosi d’amore, e quindi umani.

You don’t think I’m a bad person?

Partendo da quella che è a tutti gli effetti una storia young adult, Bones and All diventa un racconto universale che si fa metafora del nostro profondo bisogno di connessione e di verità, di qualcuno che ci veda per ciò che siamo, nelle nostre pulsioni più feroci e distruttive, e che ci ami nonostante queste.

All I think is that I love you.

Lo sguardo di Luca Guadagnino (che ha vinto il Leone d’Argento a Venezia per la regia di questo film) ci accompagna attraverso un’America fatta di colori tenui e di campi lunghi e lunghissimi che si alternano all’uso di primi e primissimi piani, usati per spiare con delicatezza l’avvicinarsi di due anime spezzate che si muovono nel mondo alla ricerca di un posto – e di qualcuno – da poter chiamare casa.

Quello spaventoso bisogno d’amore

Volevo tutte le sbandate
essere viva fino allo scortico
essere tavolo pietra bestiale essere
bucare la vita coi morsi
infilare le mani in suo pulsare
di vita scavare la vita scrostarla
sfondarla spericolarla battermi con lei fino
ai suoi sigilli.
Per amore – per amore – tutto per amore.

Mariangela Gualtieri

Pearl è il secondo film di una trilogia che va da X – A Sexy Horror Story, di cui è il prequel, a – il da poco annunciato – MaXXXine. Siamo in America, è il 1918. Pearl, interpretata da Mia Goth (che qui è anche co-sceneggiatrice), lavora nella fattoria di famiglia. Fuori ci sono l’influenza spagnola e la prima guerra mondiale, che la tiene lontana dal marito Howard, dentro ci sono una madre soffocante e un padre malato. Pearl balla di nascosto e sogna di fuggire: sogna il palco e sogna il cinema e per un momento la sua vita sembra prendere una piega inaspettata, “like in the pictures”. Ma la vita non è un film.

I thought you liked me!

Uccidere, ora, è l’unico istinto e sembra essere l’unica soluzione. Così i sogni degenerano in ossessioni e la ragazza dolce e ingenua dell’inizio si traveste da mostro. Ma sotto il costume fatto di sangue d’altri l’umanità di Pearl ci parla e ci chiede d’essere ascoltata.

All I really want is to be loved. I’m having such a hard time without it lately.

Con un lungo – e sensazionale – monologo viene esplicitata tutta la tragicità di Pearl: una ragazza sola e infelice, abbandonata dal marito e rimasta bloccata in una vita che non sente sua, una vita di desideri negati. Magari il male alberga in lei, come le dice più volte la madre, ma il dolore che infligge agli altri non è mai fine a se stesso. Quella di Pearl è una reazione al rifiuto, un grido d’aiuto, desiderio d’amore.

It’s not about what I want anymore, Mitzi. It’s about making the best of what I have.

Il tono della pellicola, coloratissima, asseconda l’umore di Pearl viaggiando tra il disincanto dei musical anni cinquanta, l’horror psicologico e lo splatter. Mia Goth diventa una maschera perfetta, e credibilissima, per mettere in scena il dramma di questa antieroina: “just a small town girl livin’ in a lonely world”.

Gaia Berettoni
Gaia Berettonihttps://www.sistemacritico.it/
Laureata in lettere moderne, attualmente studentessa di scienze storiche a Bologna. Tra Jean-Luc Godard, Lana Del Rey e un succo alla pesca, se non ci sto attenta potrei finire a parlare di astrologia (non lo faccio di proposito, è l'ascendente Leone). Qui scrivo di letteratura e cinema, how much of a cliché am I?

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