venerdì, 29 Marzo 2024

GENERAZIONE VALIGIA VOL. 4: come è cambiata l’idea di televisione

Lettori e lettrici, bentornati! Ci eravamo lasciati a gennaio con il volume 3 di Generazione Valigia, in cui abbiamo visto come è cambiata l’idea di cibo nell’immaginario delle nuove generazioni. Questo mese, invece, vorrei parlare di come ad essere cambiata è l’idea che la Gen Z ha della televisione e dei programmi di intrattenimento.

Quando il 1 febbraio 2013 Netflix lanciò la sua prima serie televisiva, House of Cards, l’intero mondo dell’intrattenimento cambiò per sempre. L’incredibile successo della prima serie originale, appositamente commissionata dal servizio di Los Gatos per il proprio catalogo, fu il trampolino di lancio per la transizione verso le piattaforme streaming. Per la prima volta, si attirava l’attenzione dei critici e delle giurie dei premi tradizionali, iniziando a rubare la luce alla prestige television fino ad allora rappresentata principalmente da reti via cavo come Hbo e Showtime.

La televisione come orologio sociale

La televisione ha trasformato repentinamente la vita quotidiana di milioni di persone. Un mezzo di comunicazione di massa, diventato velocemente la più diffusa fonte di intrattenimento e di informazione.

La prima televisione in grado di trasmettere immagini in movimento si deve all’ingegnere scozzese John Logie Baird, che la chiamò radiovision. Le sperimentazioni di Baird iniziarono nel 1923 e nel 1925 lo scozzese fondò la prima società televisiva del mondo. Con le apparecchiature create da Baird, nel 1927 la BBC diede così vita alla prima stazione televisiva.

All’inizio le trasmissioni erano solo in bianco e nero, ma già nel 1953 negli Stati Uniti arrivò la televisione a colori. A causa della competizione tra diversi standard di produzione delle immagini, per vedere una trasmissione a colori in Europa bisognò attendere fino al 1967, quando la BBC iniziò a trasmettere in Gran Bretagna trasmissioni regolari. In Italia arrivarono invece solo nel 1977.

In questi primi anni di reale diffusione, la televisione non veniva concepita tanto come uno strumento di intrattenimento, quanto di informazione ed educazione. Doveva diffondere la cultura anche verso chi non aveva né l’abitudine di leggere, né l’opportunità di andare a teatro.

Ad esempio, in Italia la televisione svolse un ruolo importantissimo nel processo di unificazione della lingua. Grazie a programmi come Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta, prodotto dalla Rai in collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione, andavano in onda lezioni di lettura e scrittura per gli spettatori fuori età scolare ancora totalmente o parzialmente analfabeti.

Alberto Manzi – Non è mai troppo tardi

Ma la televisione non aveva solo un ruolo educativo prima e di intrattenimento poi. Fungeva come vero e proprio orologio sociale, come spiega il giornalista Aldo Grasso in una puntata del Corriere Daily Podcast. Dando degli appuntamenti fissi a tutto il pubblico italiano, in anni in cui non c’erano media che potessero competere, la televisione fungeva da catalizzatore sociale. Scandiva la vita delle persone, come facevano le campane delle chiese in epoca medievale quando ancora non esistevano gli orologi.

L’arrivo delle serie TV

Il concetto di serialità è sempre esistito. Basti pensare che romanzi come I tre moschetieri di Alexandre Dumas era stato pubblicato originariamente a puntate sul giornale Le Siècle, nel 1844.  Questi romanzi, noti come romanzi d’appendice o feuilleton, uscivano su un quotidiano o una rivista proprio a episodi, pubblicati in genere la domenica.

Senza scomodare i grandi classici, e arrivando alla televisione, vediamo come la fiction televisiva nasce non molto tempo dopo l’avvio delle prime trasmissioni, al termine della seconda guerra mondiale. La prima forma di fiction era il teledramma o sceneggiato, costituito da una rappresentazione di derivazione teatrale e trasmesso in diretta.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta la diretta viene pian piano abbandonata, in favore della registrazione su pellicola, meno difficoltosa e redditizia grazie alle redistribuzioni nazionali e internazionali.

La buona riuscita delle serie TV è da ricondursi al grado di rassicurazione che offrono allo spettatore. Mentre un film è più frequentemente una sorta di scommessa, la ripetizione diventa invece l’elemento fondamentale per la fidelizzazione dello spettatore. Subentrano subito la curiosità nel seguire l’evolversi della trama e, altro punto forte, lo sviluppo di un vero e proprio legame affettivo con il proprio protagonista preferito.

Più si diffondevano le televisioni nelle case delle persone, più spettatori si appassionavano alle serie TV, più queste nascevano, miglioravano in qualità e si allungavano in durata. Il vero e proprio boom ci fu negli anni Novanta, quando cominciarono a diventare popolari le sitcom che ancora oggi sono capaci di tenerci incollati allo schermo: una fra tutte la celeberrima Friends.

Generazione binge watching

Quando le serie TV sono approdate su internet è stato il momento per un altro cambiamento epocale. Ancora una volta cambiava l’idea di televisione e più in generale l’idea di intrattenimento.

All’inizio i contenuti erano stati caricati su siti pirata, che permettevano di vedere le serie TV che ufficialmente andavano sui canali televisivi a pagamento. Le puntate dovevano essere scaricate o viste in streaming illegalmente.

Quando le piattaforme di streaming legali arrivarono su Internet, queste offrirono per la prima volta un catalogo simile a quello di una casa editrice, una libreria che permetteva di attingere quando e come si voleva ai contenuti. Ecco quindi la fortuna di Netflix, poi di Amazon Prime, Now, Disney + (che ha avuto la fortuna di essere stata lanciata durante la prima fase pandemica, quando in milioni eravamo chiusi in casa senza altro da fare se non guardare compulsivamente nuovi contenuti) e decine di altre piattaforme.

Cosa è successo negli ultimi 10 anni? Che la quantità inverosimile di serie TV disponibili a poco a poco ha come sempre compromesso la qualità di molte di queste, oltre a portare ad un cambiamento nei comportamenti e nei modi di vivere l’intrattenimento.

La bulimia di esperienze fictional, di universi narrativi e di immagini che ne deriva è l’atto fondante di un nuovo tipo di consumatore mediale. Il binge watching, ossia il divorare film o episodi di una serie uno dopo l’altro, fino allo sfinimento fisico o alla noia depressiva, è diventato con le piattaforme streaming dapprima esperienza trasgressiva poi, con rapidità sconcertante, addomesticato costume di massa dell’utente mainstream.

Luca Balestrieri

Basti pensare che nel 2016, un residente di New York ha passato 94 ore consecutive a vedere serie TV, fissando il record mondiale. Ma tutte queste nuove piattaforme streaming e le migliaia di contenuti disponibili, come abbiamo visto fanno si che il binge watching sia ormai un fenomeno piuttosto comune e non uno strano comportamento legato a record folli.

Si può dire che la tendenza a vedere tantissimi contenuti, velocemente e tendendo a dimenticarne la gran parte subito dopo, sia stata una precorritrice del nuovo modo di fruire di social media come TikTok, da cui deriva uno scrolling ancora più compulsivo.

Quale futuro per la televisione?

Con queste nuove tendenze e l’abbandono progressivo della TV da parte delle nuove generazioni, quale sarà il suo futuro?

Ormai sappiamo che sempre più persone decidono di non avere il dispositivo TV in casa, ma in realtà questo è tutt’atro che superato come strumento di intrattenimento.

La TV e le piattaforme continuano a convivere, poiché alla alla prima continuano ad essere riservate le grandi dirette. Dai più importanti appuntamenti sportivi, mondiali di calcio o olimpiadi, ai grandi discorsi politici, come il discorso presidenziale di fine anno, abbiamo dei contenuti la cui sacralità viene ribadita dal fatto che questi siano disponibili in diretta su uno strumento universale come la televisione.

Ovviamente, questo ruolo sacrale potrà essere mantenuto dalla televisione solo se questa aprirà furbescamente le sue porte, non frapponendo barriere tra se e il digitale. Un esempio eclatante di come possa essere un successo la commistione tra l’online e il televisivo, è offerto dall’ultima edizione del Festival di Sanremo 2023. Come dimostrano i 12 milioni e 256 mila spettatori che hanno visto la finale del Festival, seguitissimo anche dagli under 30, quando la TV strizza l’occhio al mondo digital può rispondere e resistere alle minacce del mondo moderno.

Finale Sanremo 2023

Ad essere venuta meno è dunque l’idea di televisione come totem, che per 60 anni era il centro della casa, ma non la sua capacità di aggregare un vastissimo pubblico che, forse anacronisticamente, si ritrova ancora davanti lo schermo.

Sara Valentina Natale
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Sara Valentina Natale. Laureata in Studi Internazionali, ho scelto di proseguire i miei studi con un master in Corporate Communication, Lobbying & Public Affairs a Roma . Adoro scrivere, fare polemica e bere Gin. Aspirante femminista, europeista incallita, sportiva occasionale.

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