venerdì, 19 Aprile 2024

Dear Kobe: una lettera aperta

Kobe Bryant

Non penso abbia bisogno di presentazioni, bene o male tutti coloro che seguono un po’ di sport e non, sanno bene chi c’è dietro a quel nome. Kobe Bryant. Quante cose si potrebbero dire su di lui, sulla sua immensa figura. Contradditoria si, assolutamente sì. Di certo Kobe non era solo bene, aveva anche i suoi difetti, forse tanti, ma di certo è innegabile la sua grande presenza. Ma non sono qui per raccontarvi chi fosse Kobe Bryant, sono qui per dirvi chi fosse per i tanti come me che sono cresciuti cercando di imitarlo. Per me Kobe era tutto. E’ stato colui che nel lontano 2010 mi ha mostrato per la prima volta il magico mondo della palla a spicchi. Gara 7 delle finali NBA, Lakers-Celtics, 9 grandi giocatori di basket e lui, il 24. E’ stato un attimo, folgorante, ed è scattato subito un amore viscerale per quello sport, per quella grande persona. Galleggiava in aria, tirava senza esitazione, sudava e correva, difendeva e attaccava. Poi quel tiro, quel suo tiro, quel fadeaway che lo ha reso forse chi è oggi e che paradossalmente ha reso me, chi sono oggi. Quella sua forza di determinazione fuori dai confini.

Tu, caro Kobe, per quello sport hai dato tutto

Quelle gocce di sudore, di sangue e quei momenti di dolore. Quegli attimi eterni, di gloria e di eterno piacere. Ricordo che il giorno dopo quella partita sono andato dai miei genitori e gli ho detto: babbo, mamma, ho deciso di giocare a basket. Ero bassino e grassottello, eppure sentivo che era quello che dovevo fare. Da li in avanti non ho mai lasciato cadere quella passione, quell’amore. Ricordo la prima canotta, proprio quel 24 giallo-viola. Ricordo tutte quelle volte che in palestra provavo a imitarti in maniera goffa e abbastanza scadente a dire il vero. Ma sapevo che potevo farcela, perché tu hai sempre detto a tutti: lavora sodo e potrai fare quello che vuoi. Mi fa un po’ strano dover scrivere queste parole oggi, così, all’improvviso. Non ero pronto, ne mentalmente ne sentimentalmente. Quando ho saputo della notizia non ci credevo, anzi, ho riso. Stavo ridendo perché pensavo fosse uno scherzo. Poi ho iniziato a leggere tutti i messaggi che i miei amici mi stavano mandando. Kobe è morto, Kobe è morto. Ed io continuavo a non crederci. Sapevano tutti chi fosse Kobe per me, tutti. Ho deciso di chiamare mia madre che con la voce rotta mi ha confermato la notizia. Sono scoppiato a piangere, ho pianto come raramente altre volte ho fatto.

Hai iniziato la lettera con cui hai annunciato il tuo ritiro dicendo: dear basketball. Bene, oggi permettermi di fare mie quelle parole per ringraziarti direttamente.

Dear Kobe,

Grazie per tutto quello che hai dato a noi amanti della pallacanestro, a tutti gli amanti dello sport e forse a tutti coloro a cui hai donato un secondo. Oggi, insieme alla tua piccola, sei andato via ma puoi stare certo che non andrai mai via dai nostri cuori, dai nostri ricordi e dalle nostre vite. Alla fine sei dentro un po’ tutti noi e forse lo sarai sempre. Oggi è il momento di piangere, assolutamente, ma da domani tocca ricominciare a vivere proprio come tu ci hai insegnato. Dopo ogni caduta arriva il momento di rialzarsi e sono certo che con il tuo spirito lo faremo meglio che mai.

Ho voluto scrivere queste righe per condividere il dolore, l’ammirazione e la passione per un uomo che ha segnato milioni di vite e di momenti. Ho voluto dire grazie al mito di infanzia e ad un ragazzo che ha segnato la storia di uno sport ma forse anche di generazioni intere. Si, sono cresciuto con il mito di Kobe Bryant e mai lo dimenticherò. Del resto come hai detto tu stesso: gli eroi vanno e vengono, ma le leggende sono per sempre. E ora, se mai ci fosse il bisogno di dirlo, sei ufficialmente una leggenda.

Per l’ultima volta hai lasciato il duro parquet della vita, hai fatto il tuo ultimo tiro e hai salutato tutti, così un po’ all’improvviso.

Grazie Kobe, per tutto, da parte di un ragazzo semplice ma che con quella canotta si sentiva un po’ Superman, anzi che dico, un po’ Kobe Bryant.

Mamba out

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