venerdì, 26 Aprile 2024

L’alleanza tra Clima ed Economia

Non sempre il legame tra Economia e Difesa dell’Ambiente è così immediato. Siamo più o meno tutti concordi nell’affermare che una buona impresa è quella che produce in modo sostenibile, che non spreca, che usa fonti di energia rinnovabili. Se andiamo al supermercato, ci troviamo subito immersi in una competizione pubblicitaria intrisa di virtuosismi ambientalisti: nelle etichette dei prodotti ci segnalano che “il formaggio Aspem è stato prodotto in modo sostenibile” o “le salviette Kito sono ecologiche”. Una contesa tra marchi eco-friendly che si sfidano su chi sia il più bravo di tutti.

I profitti dell’essere ambientalisti

Per chi, come me, ha studiato Economia o ha frequentato un corso affine, una delle prime lezioni di Economia e Gestione delle Imprese è: essere ambientalisti è prima di tutto un’opportunità di business. Le imprese devono soddisfare i bisogni dei consumatori – o crearli, come hanno fatto le più grandi aziende dell’high-tech – e adeguare l’offerta di conseguenza. Principio scontato, ma non troppo. A partire dagli anni ’70 la sensibilità delle persone nei confronti di questioni etiche, sociali e ambientali si è riversata anche nel carrello della spesa. Il ’68 è stato probabilmente un apripista, ma il vero motivo va rintracciato nell’opulenza acquisita dall’Occidente.

La Società del Benessere si stava dimenticando della precarietà del secondo dopoguerra, iniziava a respirare una prosperità nuova, luccicante. Dal consumo di beni durevoli come elettrodomestici e automobili, al consumo di beni accessori, sfizi. Non ci si preoccupava più del pane nelle tavole, adesso era l’ora di scegliere se trascorrere le vacanze in Spagna o in montagna, quanti giocattoli regalare ai bambini per Natale, quale modello di barbecue utilizzare per le grigliate in compagnia. Un margine maggiore per poter evadere dall’area delle scelte dei beni di prima necessità, e potersi concentrare su come soddisfare al meglio i propri desideri.

Fonte: tuttoin1.it
Fonte: tuttoin1.it

In un contesto del genere, accade che i consumatori inizino a trasferire ciò che era rimasto cristallizzato nelle discussioni e nella politica verso i consumi. Il sistema di valori abbraccia le necessità fisiologiche. Succede che non si compri più un certo orologio perché la fabbrica che li produce utilizza manodopera minorile e a basso costo in India. Lo abbiamo visto con la questione dell’olio di palma. Esce fuori uno scandalo relativo alla distruzione di un numero incalcolabile di ettari di foreste, e l’olio di palma diventa il nemico pubblico numero uno. Parte la rincorsa delle imprese a chi elabora lo spot pubblicitario più convincente, dove viene detto esplicitamente che il prodotto è senza olio di palma. Tutti, proprio tutti lo hanno detto. La Nutella si è smarcata e ha tentato una strategia inversa: il nostro olio di palma è diverso. Considerando che per loro l’olio di palma è essenziale quanto lo è il mio sangue per una zanzara, è una scelta comprensibile.

La domanda etica

Le imprese si sono dovute attrezzare e, progressivamente, si sono date una veste “etica”. Le virgolette non sono un caso, parlare di etica e imprese può risultare un ossimoro. Ma è questa la direzione che è stata scelta: il prodotto, il processo, il concept e tutta la catena del valore dovevano essere moralizzate. Entro certi limiti, non sia mai che si chiuda uno stabilimento. Ma se si può utilizzare un’altra fonte di energia, se si possono ridurre gli sprechi, se si possono evitare danni all’ambiente circostante, lo si fa. Sempre entro certi limiti, ma lo si fa. Il consumatore saprà ricompensare l’azienda.

Tra tutte le questioni etiche, quella ambientale emerge come la più decisiva ed influente. Non sono i giganti dell’high-tech che fanno scandalo per lo sfruttamento di minori in Congo nelle miniere di cobalto, o Facebook per la manipolazione dei dati con Cambridge Analytica. Sono le immagini strazianti dei pellicani ricoperti di petrolio a causa del disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della British Petroleum del 20 aprile 2010. I video della Calotta Polare in perenne scioglimento, con gli orsi polari galleggianti sui pochi pezzi di ghiaccio rimasti, le inondazioni e le frane in Kenya che hanno ucciso 194 persone, o la Foresta Amazzonica e l’Australia che bruciano da mesi.

L’Economia che ha distrutto il Pianeta

Tornando al discorso iniziale, non è così immediato associare tutti questi disastri a fattori economici. Il pensiero comune non collega un bosco in fiamme a scelte economiche. Si tratta del classico rapporto causa-effetto con cui schematizziamo la vita di tutti i giorni: sono affamato e quindi mangio, il sole è tramontato e quindi arriva la sera. Passaggi logici, nessi incatenati. Ma tra economia e ambiente, il passaggio non avviene.

I cambiamenti climatici sono figli di scelte economiche. Se il mercato chiede petrolio, le imprese offriranno petrolio. Al manager viene chiesto di concentrare gli sforzi sulle macchine a diesel, i fornitori e i clienti dell’impresa dovranno adeguarsi. La finanza, a questo punto, decide di iniettare denaro nelle imprese petrolifere, investe sui combustibili fossili perché risponde a logiche di Return on Investment. I broker scommettono su quelle aziende, gli Stati si finanziano con gli investimenti degli investitori -gioco di parole obbligato – che hanno le mani immerse nei combustibili fossili. Tutto collegato, dalla pompa di benzina alla piattaforma off-shore, e il discorso può essere esteso a tanti altri settori produttivi inquinanti.

Un tale circolo vizioso non sarebbe possibile senza il cospicuo intervento della Finanza. La BlackRock, la più grande società di investimento nel mondo, ha annunciato il 15 gennaio che avrebbe ridotto gli investimenti nei combustibili fossili per avviare la transizione ecologica. La BEI (Banca Europea degli Investimenti) emette più green bonds di chiunque altro nel mondo. Segnali forti, necessari, ma da prendere con cautela. Le partecipazioni della BlackRock stessa, che ammontano a più di 7mila miliardi di dollari, sono per il 4,2% – 300 miliardi – costituite da fondi in imprese dei combustibili fossili.

Milton Friedman, fondatore della Scuola di Chicago



Fonte: forexwiki.it

L’assassinio dello Stato

Tante, quasi tutte le imprese si sono impegnate nella riconversione ecologica. Non si tratta, però, solo di cambiamenti strutturali delle aziende: il sistema economico stesso è la radice del problema. L’ondata di privatizzazioni e deregolamentazioni sospinta da Margaret Thatcher nel Regno Unito e da Ronald Regan negli Stati Uniti è una parente prossima dei disastri ambientali di oggi. Un bizzarro colpo di sfortuna: avere nello stesso momento due Presidenti neoliberisti, figli della scuola di Chicago di Milton Friedman. Entrambi avevano individuato nello Stato il male di tutti i mali. “The Government is the problem” avrebbe poi detto Reagan.

Questo si è tradotto in una sostanziale deresponsabilizzazione dello Stato: nessun intervento nell’Economia, niente più fondi pubblici ad istruzione, sanità, ricerca. L’assassinio di Keynes sull’Occidente Express. Il mondo avrebbe seguito a ruota. Le crisi che si sono susseguite, da quella asiatica di fine anni ’90 fino alla devastante crisi economico-finanziaria del 2008, ne sono state la conseguenza diretta.

Il ritorno di Keynes

Oggi, in piena pandemia, assistiamo ad un’inversione di tendenza rispetto ai 40 anni intrisi di neoliberismo. Il CoronaVirus ha reso necessario un intervento massiccio degli Stati, che hanno adottato in massa forti politiche espansive. Il Pil (Prodotto Interno Lordo) è crollato pressoché ovunque, solo in Italia si stima una perdita mostruosa pari al 10%. E mentre le Banche Centrali di tutto il mondo si affannano ad iniettare denaro in quantità smisurate, l’Occidente crolla. La Cina, epicentro del Virus e primo Paese ad essere colpito, non è più la Nazione in estrema difficoltà che vedevamo fino a qualche mese fa. Sono l’Europa e tutto il cordone atlantico, fino agli Stati Uniti, che soffrono maggiormente. La leadership globale di Uncle Sam è a rischio, insieme a tutto l’impianto ideologico-economico con cui ha governato il Pianeta. La pallottola è la pandemia. L’arciduca Francesco Ferdinando è il neoliberismo. “O cambia il sistema o soccombiamo tutti. A partire dall’Europa” ha scritto Fabrizio Maronta su Limes a metà marzo. Il neoliberismo ha i giorni contati.

La nascita del movimento Fridays For Future ha generato una mobilitazione globale senza precedenti. Il mondo ha iniziato a capire le conseguenze nefaste del riscaldamento globale, prodotto anche dall’indifferenza. Il cambiamento, nelle parole del movimento, passa anche dal sistema economico. Nella campagna Ritorno al Futuro si parla di riaffermare il ruolo pubblico nell’economia e di realizzare la giustizia climatica e sociale. I primi tre punti del programma investono l’Economia, e le chiedono di cambiare. Le istanze ambientaliste si accompagnano ad un ripensamento del modello economico.

Greta Thunberg, fondatrice del movimento Fridays for Future
Fonte: il sussidiario.net

Una nuova prospettiva

La sensibilità alle questioni ambientali è ormai ampiamente diffusa. In Germania, alle ultime elezioni europee di maggio 2019, i Verdi hanno preso il 20% dei consensi. In Italia, come negli Stati Uniti e in generale in tutto l’Occidente – non si respira ancora la stessa sensibilità in Oriente – è difficile trovare un Partito che non menzioni esplicitamente la Difesa dell’Ambiente nei punti del programma. La salvaguardia del Pianeta è entrata anche nel cuore dell’Unione Europea, che ha presentato il 14 gennaio di quest’anno il Green New Deal, un massiccio piano di investimenti – 1000 miliardi in 10 anni – per avviare la rivoluzione ecologica nel Continente. Il Piano prevede la decarbonizzazione del settore energetico – costituito per il 75% da combustibili fossili – e l’ambiziosissimo progetto di arrivare alla neutralità climatica entro il 2050.

Persino il Papa, nell’enciclica Laudato Sì, ha affermato

“I Cambiamenti Climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide per l’Umanità”

Nel rapporto di Green Italy 2017 si legge che in Italia “più del 52% delle imprese ha investito in modelli produttivi sostenibili registrando aumenti in fatturato (+58%), export (+49%) ed occupazione (41%) rispetto alle organizzazioni che invece non hanno adottato la linea green”. Una ricerca realizzata da HP, su un campione di 20mila persone in 20 Paesi diversi, ha mostrato quanto sia forte la sensibilità verso le tematiche ambientali anche nei confronti dell’azienda stessa. La ricerca è infatti un’intervista ai dipendenti delle filiali della HP in cui è stato chiesto quanto sia importante la sostenibilità ambientale nell’attività dell’azienda. il 56% degli intervistati ritiene che per un’azienda ignorare le corrette pratiche per la sostenibilità ambientale sia tanto grave quanto ignorare la diversity (di età, religione, genere). Il 43% pensa che le aziende che non si concentrano sull’adozione di pratiche rispettose dell’ambiente non meritino di stare sul mercato. 

Questa nuova sensibilità nei confronti della Difesa dell’Ambiente si spiega anche nella nascita di branche dell’Economia come l’Economia Ambientale. Ma anche l’Economia Comportamentale e la Finanza Etica ne sono derivazioni dirette, anche se non afferenti direttamente alle questioni climatiche. La questione del ripensamento del sistema economico, introdotta da Richard H. Thaler nello sviluppo dell’Economia Comportamentale cerca di sradicare gli stessi fondamenti: la Teoria Economica Neoclassica vede l’uomo come un animale completamente razionale, che punta solo a massimizzare la propria utilità individuale. È il dogma dell’homo economicus, l’uomo che agisce come player individuale e non si cura degli altri. Si tratta di un concetto che ha dominato e per certi versi continua a dominare la teoria economica. Gli assunti da qui partono le politiche economiche degli Stati, le previsioni economiche future, l’impianto del nostro sapere economico, sono figli di questo assioma – apparentemente – inconfutabile.

Un’Economia diversa per difendere la Terra

La realtà ci ha dimostrato che dobbiamo, ora come non mai, ripensare i cardini del sistema economico. Lo esige l’Umanità, lo esige il Pianeta. Il modello economico neoliberista ci ha deresponsabilizzato, ci ha fatto credere che la ricchezza si sarebbe diffusa a cascata su tutta la società. I disastri prodotti sono la peggiore smentita, e la nostra Terra ha pagato il prezzo di logiche estrattiviste, consumate dal bisogno di massimizzare i profitti. L’Economia non può più sopravvivere sulle stesse basi degli ultimi 40 anni, distruggendo ogni tipo di forma regolatrice e di intervento per l’istruzione, l’ambiente e la povertà. Persino il sito MilanoFinanza è arrivata ad affermare, in un recente articolo, che “il sistema capitalistico è praticamente morto”. L’ora è ormai giunta per una rivoluzione economica ed ambientale: l’alleanza tra Clima ed Economia è iniziata.

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Massimiliano Garavalli
Massimiliano Garavalli
Coordinatore e fondatore di Sistema Critico. Amo leggere e scrivere, soprattutto di filosofia, economia e politica. Poeta a tempo perso, aspirante cabarettista di saloni vuoti. Classe '97, vivo a cavallo tra Pesaro ed Urbino. Sono laureato in economia, ma non vi dirò come investire i vostri soldi. Sistema Critico, per me, è lo spazio dove possiamo parlare e riflettere insieme sulle questioni più profonde che il Mondo ci pone ogni giorno.

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