sabato, 20 Aprile 2024

Sicurezza alimentare versus sovranità alimentare: due visioni del mondo a confronto

Nel 1994 un report delle Nazioni Unite ha definito la sicurezza alimentare una delle sette problematiche mondiali che costituiscono una minaccia per la sicurezza umana. L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha stimato che più di 820 milioni di persone nel mondo soffrivano di denutrizione nel 2017. La maggior parte di loro vive in zone rurali del Sud e Sud-est asiatico, Africa Sub-sahariana e Sud America. Queste persone hanno difficoltà ad accedere ad una sufficiente quantità di cibo per soddisfare il loro fabbisogno alimentare. Ciò li espone a più alti rischi di salute, riduzione delle capacità cognitive e fisiche e, nelle situazioni più gravi, la denutrizione, specialmente quella infantile, può portare alla morte. Ma come fare per risolvere uno storico problema globale, quello della fame nel mondo?

Fonte: Report “The state of food security and nutrition in the world”, FAO

Sicurezza alimentare

Esistono diverse strategie per raggiungere la sicurezza alimentare globale. Secondo FAO, la sicurezza alimentare è la possibilità, per tutte le persone, “ di avere accesso fisico ed economico a sufficiente cibo sicuro e nutriente, in modo da garantire i bisogni e preferenze alimentari per una vita sana e attiva” (trad. dell’autore). Ma se l’obbiettivo può essere chiaro, il come perseguirlo va incontro a più grandi difficoltà. Infatti la sicurezza alimentare va contestualizzata nel suo ambiente economico, sociale e culturale. Non si può separare il concetto di sicurezza alimentare da temi quali sviluppo economico e rurale, politiche alimentari e agricole, povertà globale ecc… . Per questo le diverse strategie di sicurezza alimentare sono sviluppate sulla base di come vengono viste, e come dovrebbero essere affrontate, le altre tematiche.

La nozione predominante: sicurezza alimentare e globalizzazione

Il modello principale di sicurezza alimentare, sulla quale si basa la maggior parte della comunità internazionale, è quello ideato e supportato dalle principali organizzazioni di governance globale.

La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e le Nazioni Unite determinano direttamente e indirettamente come la sicurezza alimentare debba essere raggiunta. La loro idea principale è che la fame nel mondo può essere eradicata attraverso un aumento della produzione di cibo a livello globale, in modo da averne sufficienti quantità per tutti. Tale aumento della produzione può essere raggiunto attraverso l’applicazione delle politiche economiche delle istituzioni di Bretton Woods, basate sul modello neoliberale.

In cosa consistono?

Attraverso deregolamentazioni e privatizzazioni, i paesi sottosviluppati e in via di sviluppo possono raggiungere un’integrazione economica tale da aumentare la produttività, aumentare la ricchezza generale e, di conseguenza, diminuire la denutrizione cronica che affligge le loro aree rurali. Come detto, Le Nazioni Unite supportano tale modello, ma riconoscono che la globalizzazione può essere una lama a doppio taglio per le aree rurali dei paesi in via di sviluppo.

Agenzie delle Nazioni Unite quali il Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD) e FAO sostengono il bisogno di politiche mirate a favore delle popolazioni rurali in modo da minimizzare gli outcome negativi della globalizzazione economica. Ma, ancora, il punto di partenza è come la globalizzazione possa migliorare le condizioni di vita di queste fasce della popolazione. Nonostante i fallimenti nel raggiungere la sicurezza alimentare, tra le istituzioni internazionali non si sono mai davvero messe in discussione le fondamenta del modello in sé. Piuttosto si è discusso di quali politiche applicare per farlo funzionare meglio.

Questa mancata contestazione è dovuta al fatto che lo sviluppo economico basato sul neoliberalismo è diventato un caposaldo dei paesi sviluppati. Non solo. Ad oggi, questo modello di globalizzazione economica è sempre più associato a valori quali democrazia e liberalismo politico. Un esempio è la dialettica usata dall’ex presidente della commissione europea Juncker nel presentare l’accordo EU-Mercosur. Alle misure protezionistiche di Trump l’Unione Europea vuole opporre accordi economici di libero scambio, impregnati di valori e ideali politici. Così il protezionismo viene associato a tirannia e il liberalismo (economico) a democrazia.

Eppure esistono alternative a questa sicurezza alimentare basata sulla globalizzazione economica neoliberale. Alternative, anch’esse, che promuovono valori quali uguaglianza, libertà e ambiente.

Una alternativa: la sovranità alimentare

Il concetto di sovranità alimentare è stato creato dal movimento internazionale Via Campesina, anche chiamato movimento internazionale dei contadini, fondato nel 1993, che riunisce contadini, piccoli e medi imprenditori agricoli, migranti e indigeni. Attraverso il concetto di sovranità alimentare, il movimento intende promuovere un modello agricolo su piccola scala, basato sui piccoli proprietari terrieri e comunità.

Ciò comporta una rivalutazione del concetto di produzione agricola. Essa non viene più vista alla luce di meri rapporti economici, ma assume connotati sociali e culturali ben diversi da quelli del modello economico neoliberale.

In cosa consiste?

I rapporti intra e inter comunitari diventano importanti nella formulazione delle politiche agricole ed alimentari. Il cibo non è più una commodity, ma espressione della cultura, della società e del territorio stesso di quella determinata popolazione. Per questo le varietà autoctone di semi, devono essere protette dalla tendenza omologante dell’industria dei sementi. Alle monocolture intensive la sovranità alimentare oppone l’agroecologia, basata su metodi agricoli tradizionali e sulla coltivazione organica. Questo modello di agricoltura consente di aumentare la biodiversità e di preservare e rigenerale il suolo, garantendo anche una maggior produttività in termini di output per unità di area rispetto ai sistemi intensivi.

La sovranità alimentare prevede il diritto di uno Stato di proteggersi dalle importazioni di alimenti eccessivamente economici, e di controllare la propria produzione. Ciò non vuol dire che il concetto di sovranità alimentare sia contrario alla globalizzazione nel suo significato più ampio.

La Via Campesina organizza interscambi culturali internazionali, dove i partecipanti possono condividere le loro tecniche di coltivazione e allevamento, la loro cultura e costumi. Lo stesso movimento si basa su reti e supporti sociali che superano i confini nazionali, supporti necessari per la crescita delle singole comunità. Ma nella sovranità alimentare, un protezionismo economico mirato ed efficace combacia con giustizia ed equità.

La sovranità alimentare mira a permetter agli agricoltori e allevatori rurali di poter produrre per il consumo locale a prezzi sostenibili; questa strategia rappresenta una efficace riduzione della povertà nelle zone rurali e una diminuzione della denutrizione cronica che spesso le affligge.

Si tratta di una proposta diametralmente opposta a quella attuale delle principali istituzioni internazionali, che basano un aumento della produzione esclusivamente sulle coltivazioni intensive. Queste ultime rappresentano anche la principale causa dell’abbandono delle terre da parte dei contadini, in quanto il loro sistema di produzione richiede una minor quantità di forza lavoro.

Differenze di Governance

I modelli si differenziano anche per come mettono in pratica le loro politiche. Per quanto riguarda l’idea attuale di sicurezza alimentare, essa viene applicata attraverso una cooperazione tra Stati e istituzioni internazionali. D’altronde, la cooperazione, intesa come approccio collettivo per uniformarsi a politiche economiche comuni, rappresenta la base della globalizzazione economica. Guardando invece alla sovranità alimentare, essa entra, almeno in parte, in conflitto con una cooperazione internazionale volta ad una governance globale.

Tale conflitto deriva dalle peculiarità sociali e culturali che il modello include nel proporre le politiche agricole e alimentari. Peculiarità che possono essere colte solo dalle comunità stesse che le possiedono, che infatti tornano ad avere il controllo delle risorse di produzione e a decidere le loro politiche alimentari e agricole. Ma se da una parte questa soluzione può essere più rispettosa dei diritti delle popolazioni rurali, il suo metodo di applicazione fa sorgere una domanda.

È davvero una risposta locale e differenziata la miglior soluzione ad un problema considerato globale?

Conclusione: questione di interessi

Ciò che separa i due modelli sopra rappresentati è una differente visione del mondo. Da una parte, c’è la forte convinzione che la globalizzazione economica permette una crescita della produzione e ricchezza mondiale, mentre le barriere tariffarie e altre forme di regolamentazioni interne, vengono viste come cause di disfunzioni economiche che danneggiano tutti. Dall’altra parte, il libero mercato è considerato responsabile di una maggior accentuazione delle disuguaglianze, mettendo con le spalle al muro chi parte svantaggiato, mentre misure di protezione del proprio mercato interno possono permettere una crescita interna più sicura.

Un’altra importante differenza, se non forse quella centrale, è il ruolo che l’agricoltura e l’allevamento rurale giocano nei due diversi modelli. Nel modello di globalizzazione economica, se è vero che l’accesso ai capitali esteri permette l’aumento della produzione (attraverso tecnologia, fertilizzanti e pesticidi), è anche vero che tale meccanismo determina la perdita del controllo delle risorse di produzione e di ciò che si vuole produrre. Di conseguenza forme di agricoltura e allevamento rurali sono destinate a scomparire a favore di culture e allevamenti intensivi che permettono un aumento della produzione per sfamare una popolazione mondiale sempre più in aumento. Le campagne si svuoteranno a favore di centri urbani sempre più grandi, che forniranno la manodopera al terzo settore. Il modello di sovranità alimentare ritiene insostenibile tale prospettiva futura.

Innanzitutto, esso sostiene che il fattore principale di denutrizione cronica non sia la quantità (e quindi la produzione) di cibo, ma la sua distribuzione. I contadini, piccoli agricoltori e lavoratori agricoli che vivono nelle zone rurali rappresentano un terzo della popolazione mondiale. Se vengono protetti e se viene a loro garantito un accesso al mercato interno, il problema di denutrizione cronica che li affligge e le comunità in cui vivono verrà alleviato. Così si potrà produrre il giusto e nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni delle comunità stesse.

La sovranità alimentare rappresenta un’alternativa alla nozione attuale di sicurezza alimentare, e vale la pena seguire gli sviluppi del suo significato, in continua evoluzione; un’evoluzione che dovrà districarsi nella continua opposizione delle principali istituzioni di governance globale. La sua sfida più grande però è un’altra, quasi insormontabile per la sua inevitabilità: la standardizzazione e omologazione, non solo dei prodotti alimentari e delle politiche economiche, ma anche dei costumi e tradizioni, che il mondo contemporaneo e globalizzato sta conoscendo.

Carlo Sapienza
Carlo Sapienza
Classe 1998. Nato nella bassa modenese, nel paesino di San Felice sul Panaro, dove la nebbia mi ha insegnato ad aguzzare gli occhi, e la pianura a spaziare con la mente. Qualità che mi servono nei miei studi di sicurezza internazionale.

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