giovedì, 28 Marzo 2024

Shining: quarant’anni dopo

È il 22 dicembre del 1980. Le prime pagine dei giornali italiani riportano le dure sentenze emesse per i responsabili delle partite truccate. Milan e Lazio vengono retrocessi e molti giocatori italiani, tra cui Paolo Rossi – scomparso recentemente – vengono squalificati. È il 22 dicembre del 1980 e ricorrere il centenario della morte della celebre scrittrice britannica George Eliot, una delle più importanti dell’età vittoriana. È il 22 dicembre del 1980: i cinema italiani accolgono un’ondata clamorosa di pubblico, entusiasta e curiosa di commentare l’ultimo lavoro di Stanley Kubrick: Shining

Stanley Kubrick: i suoi “orizzonti di gloria”

Nel 1980 attorno al regista arieggiava già da tempo una patina di ammirazione e celebrità. Nato da una famiglia borghese modesta, negli anni ’50 diede inizio alla sua carriera cinematografica realizzando corti e mediometraggi. Nel 1955 con Il bacio dell’assassino suscita l’interesse di Sterlyng Hayden il quale convince la United Artist a finanziare Rapida a mano armata nel 1956. L’anno seguente realizza la trasposizione su pellicola del libro Orizzonti di gloria di Humphrey Cobb; quest’ultimo, pur essendo ambientato in Francia, venne girato in Germania non avendo ricevuto l’autorizzazione dal governo francese. Da Lolita a Il dottor Stranamore; da  2001: Odissea nello spazio a Arancia Meccanicache riceve quattro candidature agli Oscar –. Il regista britannico costruisce nuovi modelli narrativi e metanarrativi, in grado di districare una realtà in equilibrio tra tradizione e avanguardia. 

L’alba degli anni ’80: Shining 

In seguito al clamoroso successo degli anni ’70, Kubrick, assieme a Diane Johnson, incomincia la produzione e la scrittura di un nuovo sceneggiato. Shining, basato sull’omonimo romanzo di Stephen King è considerato uno dei capolavori indiscussi del cinema horror. La pellicola ha acquistato, con il passare degli anni, un posto privilegiato tra i film cult più ricordati della storia. La memorabile interpretazione di Jack Nicholson nei panni di Jack Torrance, l’utilizzo sperimentale della steadicam e la composizione rivoluzionaria delle inquadrature rendono la pellicola tra le più citate e indimenticabili del panorama cinematografico

Stanley Kubrick sul set di Shining con sua figlia Vivian e Jack Nicholson

Shining: la trama 

Jack Torrance, scrittore e insegnante disoccupato con problemi di alcolismo, accetta un impiego come guardiano d’inverno nell’Overlook Hotel. Durante il colloquio con il direttore, questo lo avverte di un tragico evento verificatosi dieci anni prima nell’hotel: il precedente guardiano, un tale Delbert Grady, fu colpito da un fortissimo esaurimento nervoso che lo portò ad uccidere sua moglie e le sue due figlie, per poi togliersi la vita. Jack non sembra turbato dal racconto del direttore e decide di partire assieme alla sua famiglia per trascorrere l’inverno all’interno della struttura. Padre, madre e figlio si trovano così catapultati in una dimensione scissa da tutto il resto, in un hotel sperduto tra le montagne innevate e senza via di comunicazione con l’esterno. 

Jack Nicholson nei panni di Jack Torrance in Shining

La luccicanza

Danny, il figlio dello scrittore, si mostra, già dalle primissime inquadrature, come un bambino molto speciale: ha un amico immaginario, Tony, che gli parla tramite un dito con la voce dello stesso Danny, aiutandolo in situazioni spiacevoli e facendogli vivere il futuro attraverso visioni agghiaccianti. Il bambino, sotto indicazioni di Tony, ha terribili presentimenti circa la sua nuova casa. Una volta arrivati in hotel il capocuoco Dick Hallorann avverte le grandiose capacità del piccolo, rivelandogli di condividere con lui il suo stesso potere, la luccicanza (Shining, appunto). Il cuoco tranquillizza il bambino, gli spiega come le visioni non potrebbero arrecare alcun male alla persona, essendo proiezioni di ciò che è stato. Senza approfondire, lo avverte di non avvicinarsi per nessun motivo alla camera 237.

Danny Torrance in Shining

La degenerazione dell’uomo come delirio d’onnipotenza 

Shining ricostruisce la società moderna attraverso un curioso esemplare di uomo occidentale, uno scrittore pervaso dal suo io e incastrato nel suo ego. La paranoia di Jack Torrance – che lo porterà a cercare di uccidere sua moglie e suo figlio – non rappresenta solo la descrizione di una pazzia legata al senso d’isolamento, ma, al tempo stesso, l’aspirazione di una società che cerca in ogni modo di superare se stessa e i suoi limiti, finendo così intrappolata dentro un clamoroso e inevitabile volo di Icaro. Jack sarà catapultato all’interno della sua coscienza, palesando allo spettatore tutti i suoi grandi demoni. Kubrick prende per mano il suo pubblico e lo trascina dentro l’orribile viaggio nella mente di Torrance, modellando il labirinto dei suoi pensieri in bilico tra verità e finzione. 

Molti hanno cercato di analizzare Shining percorrendo differenti strade – celebre è il documentario Room 237 di Rodney Ascher – e senza dubbio l’inquadratura finale è la più discussa di tutta la pellicola. Il film si chiude con una foto del 1921 in cui vediamo Jack (probabilmente morto assiderato dentro il labirinto dell’hotel) al centro, circondato da una folla di persone. L’interpretazione più comune prevede che l’anima di Jack sia stata assorbita in eterno dalla struttura o che lo scrittore non sia altro che l’incarnazione di un dipendente del medesimo, che aveva vissuto lì in passato (il fantasma dell’ex custode dell’hotel aveva rivelato a Torrance che lui «è sempre stato il custode»). Tante teorie, nessuna risposta certa.

Scena finale di Shining

Una teoria popolare: l’abuso 

Un pensiero riconosciuto da molti riguardo il significato nascosto dietro Shining chiama in causa la ciclicità della violenza e dell’abuso. Il protagonista che altro non è che un ex alcolista con problemi a controllare la rabbia, cade nuovamente nelle sue vecchie abitudini quando accetta di lavorare come custode dell’hotel, costruito a sua volta su un cimitero indiano e palcoscenico di innumerevoli omicidi. Non a caso, Jack Torrence avrebbe replicato una strage avvenuta precedentemente dall’ex guardiano, come un evento ciclico e impossibile da fermare. Alcuni ritengono che dentro la violenza fisica ci sia in aggiunta un’altro grande trauma, quello dell’abuso sessuale. A dimostrazione di ciò, una delle scene finali ritrae un uomo vestito da orso intento a praticare un rapporto orale ad un uomo in smoking: c’è chi ritiene che molto probabilmente l’uomo-orso dovrebbe rappresentare Danny – precedentemente mostrato con un peluche di orsetto in mano – e quello vestito di nero Jack. 

Fotogramma da Shining

Sappiamo che Kubrick amava spiazzare il suo pubblico con i cosiddetti finali aperti; lo spettatore riesce, infatti, ad interiorizzare ciò che ha visto, immergendo la sua psiche dentro ogni piccolo fotogramma.

Cosa si cela dietro Shining? Forse l’integrità stessa dell’uomo, con le sue fragilità e i suoi sogni, a tratti perversi.

L’oblio in cui Stanley Kubrick ci immerge é agghiacciante e terribilmente affascinante e dopo quarant’anni Shining continua a rivivere nei nostri incubi più spaventosi.

Jack Nicholson in Shining

Asia Vitullo
Asia Vitullohttps://www.sistemacritico.it/
Asia Vitullo, abruzzese, classe 1997. Laureata in Filologia Moderna ad Urbino, proseguo il mio cammino tra i letterati, un po’ come il protagonista di Midnight in Paris, sorseggiando un tè e sognando la Torre Eiffel. Adoro il cinema, il teatro e gli ossimori. La mia più grande fonte di ispirazione è Pier Paolo Pasolini e vivo nella speranza di poter dare ancora una voce alle sue parole.

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