venerdì, 26 Aprile 2024

PescAmare: il sangue e il mare

Il progetto PescAmare

Il mare nella mente di Andrea Lodovichetti profuma di casa. Nativo di Fano ma emigrato negli Stati Uniti per inseguire la carriera di filmografo, sa sviscerare con rispetto il nucleo più delicato, l’emblema portante della comunità: il porto. Il sogno di potersi fare voce narrante della saggezza marinaresca fa capolino nel 2018, in uno dei periodi di stallo che incorrono nella vita da regista. Un’idea che cambia pelle e diventa un copione di inquadrature e testimonianze da poter intrecciare insieme, come i fili delle reti da pesca. Così nel 2019 nasce PescAmare, un documentario sulla marineria fanese, per la regia di Andrea Lodovichetti e la sceneggiatura di Luca Caprara, prodotto da Lobecafilm. In pochi mesi il documentario viene premiato ai festival Mente Locale-Visioni sul territorio di Modena, Fiorenzo Serra International Film Festival di Sassari e Kinoduel International Film Fest a Minsk.

Con la forza di una mareggiata, Pescamare continua la sua corsa venendo insignito dei premi per Miglior Film, Migliore Fotografia e Miglior Sound Design presso il Chatham-Kent International Film Festival a Chatham, Canada.

La bellezza dei panorami fanesi ha saputo inoltre conquistare l’Industry Award for Best documentary presso il Raw Film Festival di Los Angeles, come il premio per il miglior montaggio, ad opera di Nicola Nicoletti, al Tifa-Tietê Internacional Film Award a San Paolo e il titolo Best of Festival-Documentary Award al Berkeley Video & Film Festival. Nel 2022 giunge da Ludovichetti la notizia dell’inserimento del documentario nella programmazione della nona edizione del Festival International du Cinéma Numérique de Cotonou nel Benin. Le mani segnate dalla fatica dei marinai stringono ora ben 21 premi, 50 selezioni ufficiali in 30 paesi e 5 menzioni speciali.

Visione di alba da un peschereccio

Il sangue e il mare

“Perché noi abbiamo il sangue di mare”, raccontano i marinai. Nei solchi scavati dal sole si adagia una saggezza che odora di salsedine e racconti. Sono stanchi, affaticati, non nascondono le insidie che la vita di mare cela: le lunghe ore di lavoro e la sveglia prima dell’alba per alcuni, mentre per altri il sonno è concessione da farsi durante la giornata perché di notte è tempo di lavoro. Parlano dell’isolamento della grande distesa del mare, della famiglia a casa che è una voce flebile, troppo flebile per raggiungerli e se ci riesce incide solo dolorose ferite.

Lo racconta uno degli intervistati: quando si solca il mare le telefonate ai cari sono brevi, perché solo qualche parola in più può appesantire il cuore con ricordi che odorano di malinconia. Pescamare dà voce anche alle mogli, ai figli, a coloro che restavano a terra pregando che i venti restituissero loro uomini incolumi. Una lettera, recitata in chiusura d’opera, di una figlia, è una dolce carezza di rimpianti, il racconto commosso di chi un padre lo ha avuto a sprazzi, quei pochi bocconi che il mare concedeva.

Ma il mare è vita, il mare è sangue, e nessuno dei marinai se n’é mai voluto separare, ed anzi, ridendo a mezza bocca, si chiedono come possa vivere il contadino lontano dall’acqua.

Il confine tra storia e presente

Lo spettacolare lavoro di montaggio traccia un sentiero tra il passato delle grandi barche a vele ed il presente dei piccoli pescherecci autonomi e della pesca a strascico. Scavando tra gli scogli riemergono voci di chi marinaio ora lo è solo nel cuore. L’utilizzo di fotografie storiche si rivela una magnifica scelta registica, volta a introdurre con maggior dettaglio lo sviluppo della marinaresca fanese attraverso gli ultimi due secoli. Una storia che ha fatto la muta: l’industria della pesca da un proficuo investimento è man man divenuta una professione sempre più dura e spaventosa. Il marinaio non trova più il suo posto nella gerarchia comunitaria, diversamente da cinquant’anni fa quando la vivacità culturale cittadina risiedeva tra le vongolare.

Un’identità quasi sbiadita, come raccontano i figli marinai di marinari, ricordando di quando già a sedici anni spesso ci si trovava con in mano i fili del pescaréč, soprattutto chi di studiare non ne voleva sapere. Oggi a chi vuole intraprendere il mestiere attende un esilio sociale, affermano, sorridendo tristi.

Il pregio di Pescamare è la delicatezza con cui sa raccontare, celebrando il rispetto marinaresco per il mare, e la cura che gli si dedica. Perché il mare è morte come è vita. E negli occhi lucidi dei vecchi marinai vibra un amore incommensurabile, un desiderio quasi logorante di potersi fondere in carne ed acqua salata.

Un’emozionante viaggio nel dialetto portuale

Pescamare ci porta sulle imbarcazioni, tra il rumore delle reti sollevate, gonfie di pesce, ed il silenzio dell’alba. Ci immerge tra i sacchi di vongole, il chiacchiericcio di chi rammenda le paranze, le casse ordinatamente stipate pronte per le aste sul pescato. Tra l’odore dei sarduncin a scota det e lo sfrigolio della graticola. Le voci del corale di testimonianze sono un ventaglio di inflessioni, differenziando chi il dialetto del porto lo mastica da più di qualche inverno.

La musicalità unica del fanese risuona di un senso antico di familiarità anche per chi dialetto non ne parla. Il racconto di quella burrasca, che nel 1964 decretò la morte di molti, sa emozionare ancora di più quando a narrarlo è la voce spezzata di pianto e intrisa di tinte dialettali di un vecchio marinaio, un ricordo d’infanzia della dolorosa attesa sulla spiaggia devastata dal vento. I portulòt accolgono in sé semanticamente due identità: i marinai ed il porto. Sono una cultura a sé, con un proprio dialetto, che si differenzia dalla parlata del centro città, benché distino solo poche centinai di metri. Sono personaggi e protagonisti, ispirazione della moretta, il celebre caffè corretto di Fano, conosciuto per la perfetta stratificazione che alterna ad un espresso tre differenti alcolici: anice, rum e brandy, necessari per scaldare i corpi sferzati dalla bora.

Il ricordo

La bellezza del placido suono della risacca ci guida ad un viaggio sensoriale, dove basta chiudere per gli occhi, lasciandosi guidare dalla voce narrante che declama poesie dialettali, per ritrovarsi sul molo, là sotto il faro verde. Come nativa di Fano non ho potuto non commuovermi di fronte alle storie dei miei compaesani, ai sorrisi stanchi e alle ossa forgiate dalla burrasca, al mio dialetto portato sul grande schermo.

Pescamare mi ha colmato di un senso nuovo di familiarità. Lo straordinario lavoro registico di Lovodichetti si nota nei dettagli, nei perfetti filari dei magazzini, nelle code del pesce che fanno capolino dalle casse, nello scorcio di mani callose e chiglie di navi, nei profumi, nei ricordi e nei panorami che offre il lungomare. Un racconto innamorato di chi serba la memoria comunitaria: i marinai sono i rapsodi del mare.

Sofia Paolinelli
Sofia Paolinellihttps://www.sistemacritico.it/
Classe 1997. Laureata alla magistrale in Lettere Classiche attualmente lavoro in campo editoriale. Classicista con ambizioni interdisciplinari provo un amore sconfinato per i panorami scozzesi, i musical e il cinema hollywoodiano degli anni '50. Attualmente in possesso di circa una ventina di quaderni su cui periodicamente scrivo piccoli racconti. Per il blog mi occupo della sezione di cinema e letteratura.

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