venerdì, 26 Aprile 2024

Un viaggio tra film e serie TV: quando la tecnologia perde il suo fascino

Se sempre più film e serie tv sperimentano il rapporto del genere umano con la tecnologia è perché nel mezzo di questa c.d. quarta rivoluzione, la rivoluzione digitale, quello che un anno appare impossibile, a distanza di poco tempo è realtà. Non c’è tempo di comprendere e metabolizzare quelli che sono a tutti gli effetti cambiamenti epocali. Tasselli sempre più numerosi di un mondo che si fa di anno in anno più complesso e nuovo. E questo non significa che tale concetto sia legato intrinsecamente a quello di migliore.

Il non saper metabolizzare, il non aver tempo per comprendere, lascia indietro chiunque in questa forsennata corsa all’evoluzione non si adatti in fretta al cambiamento. Il risultato sono degenerazioni della realtà più o meno evidenti su cui si potrebbero scrivere (e già se ne sono scritti) interi libri e antologie. 

Basti far cenno a tutte quelle digressioni primordiali del comportamento umano che sono riemerse in seguito all’avvento dei social network e che ora sono sfociate nel quotidiano. L’hate speech: tutti quegli insulti, quella rabbia, quel disprezzo che prima rimanevano confinati al salotto di casa o al bicchiere di troppo al bancone del bar ora sdoganati e normalizzati. Perché non dire inoltre del paradosso dei negozi vuoti e delle rispettive vetrine online affollate, oppure come dimenticare gli ormai tanti, troppi, episodi di violenza documentati dagli onnipresenti smartphone e subito postati ai quattro angoli del globo.

Senza citare George Floyd, basterebbe pensare alla donna che a Cremona qualche giorno fa – era il 1° Agosto – si dava fuoco mentre dei passanti, piuttosto che aiutarla, la riprendevano armati di cellulare e social network. Nessuno a soccorrerla, nessuno a chiamare i sanitari. Solo un uomo, lì di passaggio con l’automobile, è sceso e ha chiamato la Croce Rossa.

Il fenomeno psicologico dietro a questa faccenda è spiegato da un interessante studio scientifico riportato da TheVision. Questa alienazione e questo straniamento, tanto assurdi quanto reali, non fanno che ripetersi ormai con una notevole frequenza nella nostra routine giornaliera. Dal rito della foto al piatto del ristorante passando per il post pregno di emozioni intime gettato sulla bacheca di Facebook alla mercé di frotte di sconosciuti per passare poi al concerto, con tanto di biglietto pagato ed ore di viaggio, per poi essere non-presenti perché rapiti dallo schermo del cellulare intenti a registrare video che forse nessuno riguarderà mai.

Se tutto questo è reale, se tutto questo è comune, c’è da dire che è sempre più automatico e inconscio. 

Eppure ogni tanto balza all’attenzione la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato, di esagerato, di al di fuori dei binari. A chi non capita di prendere per l’ennesima volta in mano il cellulare per poi stupirsi di averlo posato appena qualche secondo prima? A chi non capita di chiedersi il perché di tutte queste ore a chattare? 

Le domande sono migliaia e sono sintomo di una mente umana che, al di là di ogni automatismo, in fondo si interroga. 

Se le domande sono i sintomi, la cura (o presunta tale) sono le risposte. Forse proprio per questo sempre più sono i film, ma ancora di più le serie tv, merenda ghiotta di bocche affamate, a immaginare e immaginarci in un futuro prossimo che guarda a caso non è ormai più (da qualche tempo) identificato in un anno preciso. Il motivo? Semplice: non sappiamo se quello che è fantascientifico oggi, sarà realtà l’anno prossimo o quello dopo. E allora meglio evitare date fisse alla Ritorno al Futuro, per poi cadere in errate previsioni. 

Automobili e skateboard volanti il 21 Ottobre 2015 secondo Ritorno al Futuro (1985). Foto da DailyMail

Il nostro rapporto coi cellulari

Black Mirror: Orso Bianco (2 x 02)

Pensando al triste episodio di Cremona, salta subito alla mente Orso Bianco, seconda puntata della seconda stagione di Black Mirror.

La serie, tra le più amate del catalogo Netflix, è quella che più di qualunque altra prende di petto il tema del nostro rapporto con la tecnologia. Le ambientazioni sono spesso piuttosto reali, sospese su un fragile equilibrio che ogni volta viene fatto saltare dall’avvento di un nuovo dispositivo innovativo. Che si tratti di un sensore cerebrale per cancellare dalla propria vista e dalle proprie orecchie immagini e suoni di persone a noi poco gradite; o che sia un robot pronto a prendere le sembianze del partner defunto; o ancora un app per valutare il nostro gradimento verso gli altri. Il risultato è (quasi) sempre lo stesso.

Puntualmente – e questo più che uno spoiler è il leitmotiv alla base della serie – quello che inizialmente viene salutato come un regalo di Natale si trasforma in una drammatica condanna che mette lo spettatore davanti alle sue responsabilità e al suo autocontrollo nell’utilizzo di social network, smartphone e altri – possibili, futuri – dispositivi. 

Orso Bianco racconta qualcosa di leggermente diverso ma in fondo, pensando a Cremona – e non solo -, di drammaticamente attuale. Nella puntata vediamo una donna svegliarsi in una casa, ignara di dove si trovi, di quale sia la sua identità e di cosa la aspetti. Inizia quindi a muovere alcuni passi all’esterno dell’abitazione dove subito si rende conto di essere oggetto della caccia di uomini mascherati che, fucili alla mano, intendono toglierle la vita. 

Di per sé, non è la trama – piuttosto particolare -, ad essere rilevante, quanto lo sfondo. Sì perché mentre la protagonista scappa tra città austere e boschi per sfuggire alla furia omicida, non è sola ma anzi è circondata da numerose persone che, invece che soccorrerla, se ne stanno ferme, impassibili e cellulare alla mano riprendono ogni scena. Lei grida, chiede aiuto, implora, e nonostante questo uomini, donne e bambini, come nel peggiore degli incubi, la fissano marmorei dietro lo schermo del cellulare. 

White Bear featuring Toni (Lenora Chrichlow) and Jem (Tuppence Middleton). Foto da Geek.pizza

Il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale 

Her (un film di Spike Jonze)

Her è un capolavoro moderno. Guardarlo significa ricevere in eredità intere giornate di riflessione interiore su quello che è un futuro con già radici nel nostro presente. 

Nel film assistiamo al protagonista, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), distrutto dalla fine di una relazione importante, avvicinarsi nella sua solitudine a Samantha, un sistema operativo dai tratti della voce caldi e femminili. Quello che segue è un qualcosa che, pensando alla ben famosa Siri, targata Apple, o ad Alexa, targata Amazon, ad oggi considereremmo irreale o quantomeno patologico. Una relazione sentimentale tra Theodore e Samantha (spiegata benissimo in precedenza qui, su Sistema Critico)

Quello che sconvolge del film è invece l’assoluta credibilità delle dinamiche amorose tra l’uomo e l’Intelligenza Artificiale. Tanto è credibile il contesto da far apparire verosimile un futuro simile a quello descritto da Spike Jonze. Un futuro dove l’uomo e l’algoritmo approfondiscono le proprie conoscenze fino ad avvicinarsi a quanto di più simile ad una relazione.

Oggi non è, nella pratica, immaginabile nulla di tutto questo. Senza ribadire l’ovvietà di una situazione che ha dell’assurdo, bisogna però anche fare cenno ai profondi limiti di sistemi quali sono Siri, Alexa, Assistente di Google, ecc. che appaiono ancora troppo e marcatamente artificiali. Eppure esistono, seppur in una versione preistorica e del tutto parziale. 

E’ lecito chiedersi: dove potrebbero arrivare? La risposta esiste già: l’AI è oggetto di costante studio e sviluppo e già esistono sistemi operativi molto avanzati dalle innumerevoli potenzialità e capacità, una su tutte quella dell’apprendimento. Bisogna quindi cambiare la domanda. 

Quando questi sistemi, come fu per i computer, usciranno dai laboratori per entrare a far parte della nostra quotidianità ad uso e consumo di ognuno di noi? Non è una questione di se ma di quando.

E allora perché non immaginare un futuro, quantomai prossimo, in cui ognuno abbia un personale sistema operativo capace di esprimersi e apprendere come una persona senza frasi impostate e inadeguate. Questo contatto, questa intimità, questo dialogo, a cosa potrebbero dar vita? Amicizia? Amore? Her sembra voler provare a rispondere ad una di queste due domande.

Scena tratta dal film “Her” di Spike Jonze. Foto da Linkiesta

Il nostro rapporto con la tecnologia intesa come strada per l’eternità

Trascendence (un film di Wally Pfister)

Più che il film in sé – del tutto apprezzabile ma decisamente fantascientifico – ciò che è interessante è l’idea su cui si basa. Ed i suoi limiti etici.

Nella pellicola assistiamo alla morte dello studioso di Intelligenza Artificiale Will Caster (Johnny Depp), per mezzo di alcuni terroristi anti-progresso. E’ qui che si fonda l’intera trama: prima di morire, il dottor Caster chiede alla moglie e ad alcuni suoi collaboratori di impiantare il suo “cervello” in un computer così da poter vivere una sorta di seconda vita seppur totalmente nell’etere. Caster riesce nell’intento e l’intero film, prima di scivolare pesantemente nel genere sci-fi, vede ripetutamente i personaggi interrogarsi sulla meritevolezza di quanto hanno fatto, sui limiti dell’etica e sull’identità di quell’algoritmo che sostiene di essere Caster, in effetti rappresentandolo in tutto e per tutto.

Una scena tratta dal film Trascendence con Johnny Depp e Morgan Freeman. Foto da RaiPlay

Il tema non è nuovo al grande schermo. E’ magistrale in questo senso anche Torna da me, altra puntata di Black Mirror (2 x 01) in cui assistiamo alla morte di un uomo e alla solitudine della moglie che, venuta a conoscenza della possibilità di “riportalo in vita” attraverso una copia autentica, decide di acquistare un robot che non solo è in grado di prendere le sembianze del marito defunto ma anche di riprodurne tono, sarcasmo, voce e pensieri. Come? Imparando da tutti i post, i commenti, i video e file audio, le foto e quant’altro l’uomo aveva scritto in vita e che la moglie carica su un apposito sistema operativo.

Il risultato è sorprendente. Il dramma è servito.

Una scena da Torna da me (Be Right Back). Foto da: https://zeynepozel.wordpress.com/2014/04/20/black-mirror-be-right-back/

Più che di tecnologia, in fondo, si parla di etica

Che si pensi ai cellulari alzati di fronte la donna a Cremona o all’agonizzante George Floyd. Oppure all’opportunità di sviluppare sistemi operativi intelligenti in grado di apprendere e, addirittura, ragionare e prendere decisioni. Che si parli di questo e tanto altro, il minimo comune denominatore è uno.

L’etica.

Ed è proprio questa il file rouge di tutte queste rappresentazioni cinematografiche. Al di là dei fuochi d’artificio, al di là della fantascienza più sfrenata e dell’immaginazione, la domanda che sembra pervadere ogni cosa é: è giusto quello che stiamo per fare? Oppure: siamo veramente consapevoli delle conseguenze sociali ed etiche di tutto questo?

Probabilmente, consci o no, in tanti ci interroghiamo attorno a queste tematiche e proprio per questo, per srotolare questa matassa di fili e pensieri aggrovigliati, ci sentiamo più attratti da chi – serie Tv o film – prova a immaginare delle risposte.

Lorenzo Alessandroni
Lorenzo Alessandroni
Laureato in Giurisprudenza all'Università di Bologna, ora sono praticante avvocato di diritto penale all'ombra delle Due Torri. Amo leggere, scrivere e viaggiare, anche se poi mi limito a commentare in modo boomer cose che vedo sulla home di Instagram. In politica alterno momenti sentimentali a spinte robespierriane, nel mentre sono ancora in attesa del grande Godot italiano: un vero partito di sinistra.

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