venerdì, 26 Aprile 2024

Il processo ai Chicago 7: uno spaccato tra guerra e pace

Al Dolby Theatre di Hollywood, il “Processo ai Chicago 7”  ha già conquistato due nomination agli Oscar 2021. Sacha Baron Cohen, nelle vesti dell’hippie Abbie Hoffman, è tra i candidati migliori attori non protagonisti e la pellicola tra i migliori film. Oltre all’indiscussa capacità recitativa degli attori e narrativa del regista, il successo è anche dovuto alla sua storia: il ’68, le rivolte e l’ingiustizia di un “processo politico”.

Leggi anche un nostro articolo sul 1968.

1.   L’AMERICA DEL ‘68

Nell’anno delle rivoluzione studentesche(’68), dell’attivismo politico, dell’antifascimo e della lotta per i diritti civili l’America soffriva più di ogni stato al mondo. L’attentato a Martin Luther King, a Bob Kennedy e la Guerra in Vietnam mobilitarono masse di giovani in cerca di un riscatto sociale. La rinuncia del Presidente Lyndon B. Johnson ad una nuova candidatura alimentò parecchi malumori viste, soprattutto, le sue intenzioni di impegnarsi esclusivamente nella guerra. Se da una parte i Black Panther e gli Hippie esprimevano con totale sregolatezza, violenta e non, la loro disapprovazione, dall’altra i movimenti studenteschi(Giovani Democratici e Tom Hayden) teorizzavano una democrazia partecipativa

Nonostante l’eterogeneità di questi gruppi, la Convention Democratica del ’68 a Chicago sarebbe stata un’ottima vetrina per i propri ideali. La prima vera occasione per far sentire la propria voce. I leaders dei vari movimenti decisero, quindi, di protestare contro la Guerra in Vietnam durante quelle giornate. 

2.   LE VICENDE DI CHICAGO

Il sindaco e le autorità cittadine cercarono di impedire ai manifestanti di occupare la città non concedendo i permessi necessari e schierando la Guardia Nazionale. Diecimila rivoluzionari contro dodicimila uomini tra polizia e GN armati e pronti, più che a gestire una folla, a domarla. 

Le rivolte iniziarono fin dal primo giorno, esplodendo il 28 agosto con gli scontri detti di “Michigan Avenue”. Contro i manifestanti furono usati gas lacrimogeno e proiettili di gomma e la polizia ferì decine di persone, compresi passanti e giornalisti, con colpi di manganello.

Ad aspettare le manifestazione (pacifiche) non c’era la Convention, che elesse Hubert Humphrey come candidato anti-Nixon e simpatizzante della guerra, ma un intero esercito. Dopo l’interruzione del concerto degli MC5, durante le manifestazioni del 28 agosto, da parte della polizia, fu proprio Tom Hayden a guidare le proteste verso l’Hotel Hilton sede della convention. Cercando di impedire ai rivoltosi di entrare all’interno dell’albergo, la polizia non usò mezze misure. Il gas lacrimogeno arrivò persino nella stanza del candidato democratico alla presidenza e gli agenti inseguirono e picchiarono addirittura i ragazzi nei corridoi dell’Hilton. Dunque è una normalità americana pensare che fu proprio quella notte a decretare Nixon 37° Presidente degli Stati Uniti. 

3.   IL PROCESSO DEI 7

Gli anni ’60 furono costellati di episodi come quelli dell’agosto ’68. Un decennio di cambiamento e di “rivoluzione” che costrinse il governo federale ad approvare, proprio in quell’anno, una legge che bloccasse queste rivolte. Da quel momento superare il confine di uno stato con l’intento di fomentare degli scontri sarebbe stato considerato reato(Rap Brown Law).

Non potendo accusare Abbie Hoffman e Jerry Rubin – 30enni fondatori dello Youth International Party(Yippie) –, David Dellinger – 54enne attivista del movimento pacifista –, Tom Hayden e Rennie Davis – giovani organizzatori del movimento studentesco – Lee Weiner e John Froines –accademici – e Bobby Seal –  fondatore del movimento delle Pantere Nere –di alcun reato, con la presidenza Nixon e la possibilità di rendere operativa la Rap Brown Law nel 1969 furono processati dal giudice 74enne Julius Hoffman.

Da subito emerse l’accanimento del giudice nei confronti degli imputati, alimentando la già grande notorietà del processo. “Il mondo ci guarda!” viene ripetuto più volte nel film dedicato ai Chicago 7 e così, effettivamente, fu. Perché, però, sono detti Chicago “seven” quando, in realtà, gli imputati furono 8? Il rappresentante delle Pantere Nere, Bobby Seal, chiese più volte un rinvio alle udienze cosi da permettere al suo avvocato di parteciparvi e, inoltre, continuò insistentemente a negare le accuse dato che non partecipò mai alle proteste del 28 Agosto e in quei giorni rimase in città solo per quattro ore. Il giudice Hoffman, data la sua ostinazione, lo costrinse a partecipare alle udienze legato ed imbavagliato concedendogli la possibilità di essere processato separatamente. Sarà poi dichiarato colpevole di oltraggio alla corte e non dei reati a lui imputati. 

4.   FINE DI UN INCUBO

La tesi della difesa mirò a presentare il processo come un “processo politico” cercando di screditare l’accusa attraverso la presenza di testimoni chiave che potessero dichiarare l’innocenza degli imputati. Di fatti, però, il giudice impedì puntualmente la deposizioni di alcuni di loro come ad esempio l’ex procuratore generale dell’amministrazione Johnson le cui dichiarazioni non vennero considerate. 

Dopo più di 5 mesi, il processo si concluse con 5 condanne per aver partecipato agli scontri e 2 assoluzioni. Successivamente nel processo di appello del 1972 tutti furono assolti e il giudice Hoffman fu dichiarato parziale considerando il primo processo incostituzionale. 

Credo fermamente nella giustizia ed è doloroso che le poche righe di quest’articolo facciano emergere una completa ingiustizia. In un epoca di cambiamento il mondo, forse, non era ancora pronto ad evolvere eppure, oggi, siamo ancora qui. Il processo ai Chicago 7 è servito a mostrare al mondo una società ancora troppo arretrata e chiusa. 

Tutto è bene quel che finisce bene diremmo, ma siamo sicuri che più di 50 anni fa avremmo detto la stessa cosa? Siamo sicuri che ci saremmo limitati ad un semplice frase di circostanza? Forse avremmo dovuto supportare gli ideali di quei giovani perché, in fondo, anche se lontani dai problemi americani, sarebbero stati anche i nostri.

Pierdomenico Ottomano
Pierdomenico Ottomano
Sogna, insegui, vinci! Questo sono io. Pugliese fuori sede, sono ormai due lunghi anni che seguo lezioni di economia all'università di Urbino. Musicista mancato, credo in quel futuro che saremo in grado di costruire grazie alla competenza, alla cultura, all'educazione e all'umiltà. Prendiamo in mano la nostra vita e realizziamo i nostri sogni!

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