giovedì, 25 Aprile 2024

La legge del più forte come modello letterario

Prima della teoria darwiniana sull’evoluzione della specie, il tòpos della selezione naturale trova una declinazione in una legge universale di stampo politico-filosofico, valida ancora oggi. Al centro di questa teoria, l’inevitabilità del potere superiore come dominus di quello inferiore.

Il paradigma del potere

Fatti non foste a viver come bruti. Un bellissimo endecasillabo, indubbiamente. Il problema alla radice di questo verso del ventitreesimo canto dell’Inferno dantesco è il fatto che esso rimanga figlio di uno sguardo tutt’altro che disincantato. Nonostante infatti l’uso della forza venga costantemente criticato nelle riflessioni filosofico-politiche, è indubbio che, a livello storico, questa teoria sia ben lungi da essere realizzata. Da sempre il paradigma dell’imperium di un uomo su un altro si basa, purtroppo, sulla legge universale del più forte.

Di questo se ne rendono conto fin da subito anche le civiltà più antiche. La guerra tra gli uomini nasce all’alba del mondo, e anche le riflessioni su di essa. Un percorso che si avvia fin dai popoli mesopotamici e che trova però una prima teorizzazione storiografica nella seconda metà del quinto secolo avanti Cristo. Non è un caso che il primo ad occuparsene sia un autore da sempre considerato il padre del realismo storico e delle leggi storiografiche universali.

Tra diplomazia e usurpazione

L’ateniese Tucidide, con il suo sguardo analitico, individua fin da subito i principi che guidano l’apparato diplomatico della lega delio-attica, la più grande unione di popoli del mondo allora conosciuto, e li declina in una legge valida per tutta l’umanità. L’anno è il 416 a.C. circa. La guerra del Peloponneso (che è anche titolo recato dall’opera dello storico greco sopracitato), che vede scontrarsi le maggiori potenze del continente greco è scoppiata da ormai quindici anni. Una di queste grandi città, Atene, invia degli ambasciatori sulla piccola di Melo, che fin dall’inizio del conflitto si era posta in una posizione di neutralità assoluta tra i due contendenti, per convincere i suoi abitanti ad unirsi alla causa.

Tucidide, tra i più famosi storici della Grecia antica

Alle richieste pressanti dei delegati viene opposto un fermo rifiuto, in nome dell’equilibrio tra le forze. Il senso di giustizia ed etica dimostrato dai rappresentanti della piccola forza politica di Melo potrebbe risultare assai commovente agli occhi di un incauto lettore. Le cose, tuttavia, per i Melii precipitano assai repentinamente. A questi due valori morali, infatti, si contrappone quello della legge del più forte.

MELII – E che noi restando in pace fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuna delle due parti, non l’accettereste?

ATENIESI – No, perché la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto la vostra amicizia, manifesto esempio per i sudditi della nostra debolezza, mentre l’odio lo è della nostra potenza.

Da “La guerra del Peloponneso” V, 86

La potenza dominatrice di Atene, dunque, essendo in piena espansione e impegnata anima e corpo nel conflitto per la supremazia con la rivale Sparta, non può permettersi alcun tipo di defezione o di autonomia. La legge dell’utile prevede che, per usare un modo di dire contemporaneo, non si possano lasciare dei conti in sospeso, neppure con chi, teoricamente, non sarebbe un nemico. Il destino di Melo è segnato: sottomettersi o essere annientata; cosa che poi effettivamente accadrà, con la distruzione delle mura e la deportazione della maggior parte degli abitanti.

Il valore di legge universale

Il paradigma del più forte, tuttavia, non è un’invenzione o un pretesto adattato a questa particolare circostanza. Di ciò sembrano essere perfettamente consapevoli gli stessi delegati inviati dalla pòlis ateniese:

Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza.

Da “La guerra del Peloponneso” V, 105

Il principio, dunque, è quello di una vera e propria legge naturale, e non di una norma creata ad hoc per questa particolare occasione. In questo senso la filosofia diviene politica e la politica, ovviamente, diviene guerra. Un concetto che viene poi ripreso da importantissime figure dei secoli successivi – il Lenin della rivoluzione russa, ad esempio.

La favola del più forte

Rimanendo nella prospettiva del racconto antico che vuole andare a declinare questa legge del più forte, non può mancare un riferimento al valore morale e sociale proposto dalle opere del poeta latino Fedro. Grandissimo sviluppatore del genere letterario della favola, egli caratterizza i proprio racconti impregnandoli di un’amara nota sociale, difficile da riconoscere per chi non voglia andare oltre la semplice storiella per bambini.

“Adesso dirò brevemente perché è nata la favola. La schiavitù, schiacciata dal potere, non osando affermare quello che avrebbe voluto, lo disse con le favole, utilizzando scherzose trovate“.

Fedro

Non a caso questo autore arrivò in Italia come schiavo, per poi essere liberato dall’imperatore e divenire un insegnante in casa di potenti politici dell’epoca. La sua umile posizione, tuttavia, non gli permise di essere apprezzato dai suo contemporanei. La protesta che caratterizza le sue semplici storie, dunque, assume in questo senso una carica ancora più forte.

Esempio paradigmatico fra tutti è la favola del lupo e dell’agnello, che racconta le vessazioni del forte nei confronti del debole, affermando che “dell’alleanza con il potente non ci si può mai fidare”. La legge del più forte assume quindi, per questo poeta, un’impronta di amaro pessimismo. Essa domina incontrastata per un uomo che, seppure di grande levatura intellettuale, è emarginato per tutto il corso della sua vita.

Il capitalismo come legge del più forte

Un salto di alcuni secoli è ora opportuno. Nell’Ottocento, con l’avvento del capitalismo, la legge naturale qui declinata si modifica rispetto ai secoli precedenti. La necessità dell’uomo di prevaricare il più debole diviene l’affermazione di uno status sociale che non passa più attraverso la guerra ma si esprime attraverso la ricchezza. Alcune delle maggiori opere letterarie del secolo vanno in questa direzione, come Il cugino Pons di H. Balzac, L’Assommoir di E. Zola o le Memorie dal sottosuolo di F.M. Dostoevskij.

La filosofia a questo punto deve trovare un nuovo modo per analizzare l’applicazione della legge del più forte all’uomo in quanto tale. A questo fine mira la teoria darwiniana dell’evoluzione della specie, che, tuttavia, prende una strada totalmente diversa rispetto a quella dalla quale si è partiti, andando addirittura a fondare una nuova disciplina incentrata sull’uomo, l’antropologia.

Il capitalismo

L’umanità manzioniana disillusa

Anche uno degli autori in assoluto più fiduciosi nei confronti del genere umano, Alessandro Manzoni, si deve inchinare di fronte alla legge del più forte. Lo dimostrano le sue opere tragiche, in particolare l’atto V dell’ Adelchi, opera che contiene un verso estremamente esemplificativo di questo concetto:

Non resta che far torto, o patirlo. Una feroce
forza il mondo possiede, e fa nomarsi
dritto: la man degli avi insanguinata
seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno
coltivata col sangue; e omai la terra
altra messe non dà. Reggere iniqui
dolce non è; tu l’hai provato: e fosse;
non dee finir così?

Alessandro Manzoni, Adelchi, Atto V, scena VIII

Il realismo filosofico-politico che caratterizza questi versi è sconcertante. Manzoni ha certamente appreso al meglio la lezione di Tucidide. Il concetto di humanitas e di morale comune espresso nelle altre opere di questo autore? Un concetto adatto forse per allietare il lettore o per i discorsi pubblici.

Dalla notte dei tempi all’età contemporanea, dunque, la riflessione filosofico-politica continua a declinare questo paradigma, tentando di scoprire se la realtà dei fatti sia diversa da quella letteraria e rimane puntualmente delusa. Come sostiene il poeta seicentesco Jean de La Fontaine, “la ragione migliore è sempre quella del più forte”. Chi potrebbe dargli torto?

Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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