mercoledì, 24 Aprile 2024

Le parole di Battiato. Un moderno dicti studiosus

Considerato uno dei più illuminati artisti del panorama italiano, Franco Battiato stupisce da sempre per il suo sapiente e inusuale uso delle parole musicali, riuscendo a creare nell’ascoltatore una sensazione di beato smarrimento.

Poesia antica, poesia moderna

Coltivando la passione per la storia e la letteratura latina a molti sarà probabilmente capitato di imbattersi nella definizione dicti studiosus. Traduzione latina del greco philologos, questo termine indica il poeta (o in senso più contemporaneo l’artista) che possiede una straordinaria conoscenza delle parole della sua lingua. Parole che trasmettono significati, molte volte nascosti, parole che trasmettono emozioni.

Nella modernità in cui ognuno di noi si ritrova a vivere questo concetto è diventato di uso meno comune. Oggi il successo degli artisti, siano essi poeti, cantanti o pittori, è vincolato a parametri totalmente differenti per quanto concerne l’utilizzo delle parole. Lo vediamo ad esempio in alcuni generi musicali, come il rap, che predilige la velocità di esecuzione alla riflessione sul significato. Oppure la musica dance, che si concentra sulle note e sui sottofondi a prescindere dai testi. Ci sono tuttavia alcuni personaggi che anche ai giorni nostri continuano l’antica e inesauribile ricerca legata al significato delle parole, alla loro disposizione, al loro mondo.

Biografia semplice di un artista poco semplice

Ricerca è il termine chiave di Franco Battiato, uno dei più grandi cultori delle parole del panorama musicale italiano negli ultimi trent’anni. Scorrendone la biografia ufficiale pubblicata nel suo sito, infatti, ci si rende conto dell’eccezionalità del maestro. Non a caso, il giornalista e critico musicale Ernesto Assante, celebrando i suoi 75 anni, lo definisce un “maestro delle contaminazioni, difficile da incasellare in un genere e da etichettare in tutti i suoi aspetti”. E l’aspetto sul quale si riverbera maggiormente la sua non convenzionalità è quello delle parole dei suoi testi. Una cascata incessante, un percorso che non sembra arrivare mai ad una conclusione. Ma da cosa nasce questa ricerca, da cosa nasce questo desiderio perpetuo?

Il maestro Battiato (Rock’N’Blog)

Per scoprirlo bisogna fare qualche passo indietro, più precisamente tornare all’inizio. Nativo di Jonia (CT), che gli diede i natali nel 1945, il giovane Battiato è da sempre un attivo sperimentatore all’interno delle correnti di ricerca europee. Questo approccio gli permette negli anni ’70 di iniziare a produrre le sue prime opere discografiche per l’etichetta BlaBla.

I testi da lui prodotti sono un fiume in piena che gli permette di pubblicare ben 8 album nel giro di pochi anni. Tra questi spicca, nel 1978, L’Egitto prima delle sabbie, ispirato al misticismo armeno dei racconti di Georges Ivanovic Gurdjieff. Si arriva poi al vero punto di svolta della sua carriera. Nel giro di tre anni, infatti, vengono alla luce i suoi due più grandi capolavori. Nel 1979 viene pubblicato L’era del cinghiale bianco, seguito a ruota nel 1981 da La voce del padrone, non a torto considerata la sua opera più apprezzata. In essa sono contenuti testi che hanno fatto la storia della musica italiana, come Centro di gravità permanente, Cuccurrucucù e Bandiera bianca.

Gli apici e la conclusione di una grande sinfonia

Da lì in avanti la carriera del maestro diventa una storia musicale di prestigio assoluto. Commistione di generi musicali e di altri campi del sapere umano, come dimostra ad esempio l’album L’imboscata (1996), scritto in collaborazione con Manlio Sgalambro. L’opera esprime un perfetto connubio con la filosofia greca, che attraverso le parole di Eraclito ricorda la mortalità umana e l’interrogativo di quello che è solo un passaggio. Ancora una volta la ricerca, che si esprime anche in quello che è probabilmente il brano più iconico di questo artista, La cura.

La sperimentazione dei generi musicali, delle parole e delle culture dell’uomo (non a caso Battiato oltre ad essere cantautore è anche regista di numerosi docufilm e un non trascurabile pittore) continua fino al 2017. Alla veneranda età di 72 anni il maestro decide di ritirarsi dalle scene per riposare in un paesino posto su uno dei versanti dell’Etna. Qui, nel più totale riserbo, si dedica ai suoi testi di filosofia, mistica e religione: le fonti inesauribili di quelle parole che hanno reso la sua musica così apprezzata.

“Capire” Battiato

Leggendo per la prima volta i testi di Franco Battiato un “profano” potrebbe pensare che le parole siano quasi scelte in maniera disordinata e superficiale. La “vecchia bretone con il suo cappello di carta di riso e canne di bambù” è uno tra i più iconici esempi che hanno condotto questo “giocoliere delle parole” ad essere non solo uno tra i più apprezzati artisti italiani, ma anche uno tra i più discussi. Critiche pesanti (i suoi testi sono stati definiti “minchiate assolute senza alcun significato reale”) si sono alternate a grandi riconoscimenti della sua genialità. Lo stesso Piero Negri, riconosciuto critico musicale, ammette in riferimento al lancio de La voce del padrone che:

Tutto fu fatto attraverso citazioni e riferimenti culturali e ognuno poteva dare l’interpretazione che più gli sarebbe piaciuta. Alcuni dissero che erano solo deduzioni, altri, invece, sostenevano che potevano essere decifrate in modo specifico.”

Un’istintività non casuale

Un percorso che lo ha portato al pop dall’avanguardia, passando per le forme del rock e della musica elettronica. Le parole arcane del maestro hanno portato alla luce misticismi esoterici senza dar loro una spiegazione, geografie lontane e affascinanti ed immaginazioni intime e profonde. Il potere delle parole di Battiato si limita a suggerire, suscita l’istinto, ma non in maniera casuale. La sapienza del dicti studiosus moderno, del cultore delle parole antiche e contemporanee non lascia spazio all’improvvisazione, solo all’interpretazione. Il maestro traccia un percorso incompleto per chi vuole continuarlo, o anche per chi immagina in cosa si potrebbe imbattere più avanti.

Figure iconiche, si diceva, non collocate a caso. Il “cinghiale bianco” è un invito celtico alla conoscenza e alla comprensione dell’universo, non un’accozzaglia di parole uscite dalla mente di Franco Battiato. Ognuno ne trae una diversa prospettiva di significati, siano essi esoterici o che riportino alla mente esperienze di vita estremamente concrete.

La copertina di L’era del cinghiale bianco (corriere.it)

Abbandonarsi alle parole, abbandonarsi a sè stessi

Come dunque interpretare le parole del maestro? Perchè trovare un senso logico in ciò che apparentemente non ne ha? Come definire un artista senza briglie e senza fine?

Forse l’artigiano delle parole non vuole essere definito, non vuole essere seguito. Forse egli sceglie la reciprocità dell’abbandono. Come lui abbandona a noi le sue parole, anche noi dobbiamo abbandonarci ad esse e ricercare noi stessi nel mare magnum dei significati possibili. Le parole musicali di Battiato sono per tutti, un po’ come quelle teatrali di un Dario Fo. Dallo storico al filosofo, dall’ateo al mistico, dal politico all’anarchico. Ognuno inizia e prosegue la sua crescita interiore accompagnato dalla musica.

Per citare ancora una volta Ernesto Assante, forse l’unica cosa da fare per spiegare il lavoro del maestro è quello di “chiamarlo artista e godere della sua musica senza tempo”

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Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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