lunedì, 07 Ottobre 2024

Breaking News del mercoledì

Breaking News del mercoledì arriva puntuale anche questa settimana con la sua rassegna di notizie dal mondo. Oggi si parte dall’Etiopia, dove è in corso una nuova crisi umanitaria che rischia di sfociare in un genocidio. In seguito ci sposteremo in Medio Oriente, dove la notizia della morte del leader di Al Qaeda, desta molti sospetti. Attraversiamo l’Atlantico fino a giungere negli USA, dove il presidente Donald Trump, ha deciso di far avviare le procedure d’insediamento del nuovo presidente Joe Biden alla Casa Bianca. Infine, valicheremo i confini dello spazio con la missione SpaceX a cui partecipa un nuovo e adorabile aspirante Jedi.

Etiopia: una nuova guerra civile nel Corno d’Africa

Il 4 novembre è scoppiata una guerra civile in Etiopia. L’inizio della guerra è dovuto all’attacco di unità militari della regione etiope del Tigrai, a danno dell’esercito etiope nel nord dello Stato.

L’origine degli scontri

La nuova guerra civile etiope affonda le sue radici su uno scontro nato, non meno di due anni fa, da due gruppi dirigenti della coalizione del Fronte Rivoluzionario Democratico dell’Etiopia. Questa coalizione si basa su un insieme di partiti di base etnica controllato dal Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai (FPLT), o almeno così è stato fino al 2018. Quell’anno, infatti, è salito al potere Abiy Ahmed, che ha sancito un definitivo cambio di coalizione. L’FPLT esce dalla colazione di governo ed entrano i partiti Amhara e Oromo, che fino a quel tempo erano ai margini della scena politica Etiope. La scelta del primo minitro Abiy, si è basata sul fatto che considerasse l’FPLT il principale fautore delle ruberie politiche in Etiopia; i vertici politici tigrini sono stati così sostituiti con figure a lui fedeli.

La rivolta del Fronte Popolare del Tigrai

In tutta risposta, l’FPLT ha accusato il primo ministro di avallare il principio di autodeterminazione dei popoli dei gruppi etnici e delle autonomie regionali, a favore di un nuovo sistema nazionale. Così facendo l’FPLT, si è dichiarato ampiamente federalista; cercando di far diventare la regione del Tigrai, uno Stato dentro lo Stato. A ragione di questa tesi, l’FPLT ha sabotato numerose iniziative statali, tra queste anche il provvedimento statale di sospensione delle elezioni a causa della pandemia da Covid-19. Sono state così organizzate elezioni illegittime nella regione del Tigrai, che hanno visto l’FPLT come partito vincitore, con un ampissimo margine di distacco dai suoi rivali. Il governo nazionale, in risposta, ha annunciato di non riconoscere più la rappresentanza regionale del Tigrai. L’FPLT ha quindi annunciato di non riconoscere più l’unità nazionale e, il 4 novembre, ha dato inizio alla guerra civile attaccando dei soldati etiopi nel nord dello Stato.

Una nuova crisi umanitaria

L’inizio di questa guerra ha causato una nuova crisi umanitaria nello stato etiope. Stando ai dati raccolti da Amnesty International, sono più di 4000 gli etiopi che, ogni giorno, da quando è scoppiata la guerra civile, scappano cercando rifugio in Sudan. Oltre alla crisi dei rifugiati, una nuova minaccia preoccupa le Organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, ossia quella di un nuovo genocidio. Tra il 9 e il 10 novembre, nella cittadina etiope di Mai-Kadra, vicino al Sudan, 500 persone sono state trovate morte a colpi di macete e armi da taglio. In base alle testimonianze, gli autori sarebbero da ricercare negli esponenti dell’FPLT, seppur non ci siano ancora delle prove concrete che confermino queste accuse. Questi eventi hanno fatto subito preoccupare gli esperti, essendo ritornare in mente le terribili eventi del genocidio in Rwanda.

Seguiranno ulteriori aggiornamenti.

Manuel Ferrara

Voci discordanti sulla morte di Ayman al-Ẓawāhirī, leader di al-Qa’idā

Ayman al-Ẓawāhirī, leader del gruppo terroristico al-Qa’idā, potrebbe essere morto da almeno un mese, secondo quanto riportato da alcuni media pakistani. Il decesso sarebbe avvenuto a causa di complicazioni avute a seguito di un attacco d’asma. Ẓawāhirī aveva assunto il ruolo nel 2011, successivamente alla morte di Osama bin Laden per mano delle forze armate statunitensi. Le sue condizioni di salute erano considerate da tempo pericolanti e, se la notizia fosse confermata, il suo ultimo messaggio pubblico sarebbe stato quello dell’11 settembre 2020, per l’anniversario dell’attentato del 2001.

La notizia, pur a distanza di giorni, non è ancora certa. Al-Qa’idā non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali e, vista l’origine “naturale” del decesso, è difficile ottenere prove tangibili. Le principali testate statunitensi, così come al-Jazeera e altri media arabi, preferiscono tuttora non riportare il fatto. Sicuramente però, la fuga di notizie non è stata casuale, ed è stata già confermata da alcuni esperti dell’area grazie alle informazioni che circolano attraverso la frontiera liquida tra Pakistan e Afghanistan.

Il problema è che al-Qa’idā si trova in un momento estremamente complicato e un cambio di leadership forzoso, in questo momento, rischia di essere un fardello enorme da sopportare. In agosto, agenti del Mossad hanno eliminato in piena Teheran Abu Muhammad al-Masri, numero 2 dell’organizzazione e “uomo dell’Africa” per al-Qa’idā. Ora, i fari sono puntati su Sayf al-‘Adl, un egiziano ex-ufficiale che milita nell’organizzazione da più di trent’anni, anch’egli attivo principalmente in Africa, tra Kenya e Somalia.

Matteo Suardi

Trump ha ceduto, è partita la transizione alla Casa Bianca

Il Presidente Donald Trump e il suo team di avvocati, capeggiato da Rudy Giuliani, dopo aver incassato numerose sconfitte in tribunale, sembrano aver ceduto. L’Amministrazione ha dato il via libera alla transizione di poteri a Joe Biden, con un annuncio ufficiale Emily Murphy, responsabile della General Services Administration.

Donald Trump e le accuse di brogli elettorali

Da quando i media americani hanno decretato come Presidente eletto Joe Biden, sono piovute accuse di brogli e di frodi da parte della Casa Bianca. The Donald, e gran parte del Partito Repubblicano, sostenevano che i Democratici abbiano fatto votare “i morti” per posta, creando una miriade di voti falsi. Accuse senza prove, smentite da tutte le legislazioni statali, dagli organi amministrativi e dallo stesso Christopher C. Krebs, responsabile della sicurezza informatica, che subito dopo è stato licenziato dal Presidente.

I Repubblicani miravano a ribaltare così il voto negli Stati in bilico (Pennsylvania, Georgia, Michigan e Wisconsin) della cosiddetta “Rust Belt”. soprattutto nelle contee a maggioranza democratica, dove ci sono moltissimi afroamericani, come quella di Wayne in Michigan.

Trump ha addirittura cercato di convincere i funzionari Repubblicani degli Stati in bilico a ribaltare l’esito dei Grandi Elettori, andando esplicitamente contro la volontà popolare. È stato definito l’attacco più spregiudicato e violento alla democrazia nella storia americana, e Joe Biden ha accusato Trump di essere il Presidente “più irresponsabile della storia”.

Cosa accade ora

I mesi che precedono l’insediamento di Biden alla Casa Bianca, ufficialmente il 20 gennaio come per ogni Presidente americano, sono cruciali in ogni “cambio della guardia” per aggiornare l’Amministrazione entrante su tutti i dettagli cruciali della Presidenza, dalla Politica Estera agli Affari Interni. È definito il periodo di transizione, quello in cui il Presidente uscente accompagna il nuovo Presidente nel passaggio di potere. I rischi di una transizione male eseguita sono evidenti, come testimonia la mancata preparazione dell’Amministrazione Bush in merito all’attentato dell’11 settembre: le elezioni del 2000 furono infatti decise all’ultimo, e la transizione fu breve e affrettata.

La Presidenza Bush non ebbe il tempo necessario di prepararsi adeguatamente, e le conseguenze le conosciamo tutti. Ma da oggi la transizione sembra essere ufficialmente partita, e se effettivamente sarà così, il passaggio di poteri non sarà traumatico come nel 2000. Nel frattempo, Joe Biden ha già preparato la squadra che lo accompagnerà alla White House.

Massimiliano Garavalli

NASA & Space-X, questa è la via

Michael S. Hopkins, Soichi Noguchi, Victor J. Glover e Shannon Walker sono i quattro astronauti che hanno raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) lo scorso 15 Novembre.

Crew-1 è solo la prima delle sei missioni del Commercial Crew Program nato dalla collaborazione tra NASA e Space-X. L’obiettivo a lungo termine del programma è quello di abbattere i costi necessari a lanciare un equipaggio a bordo della ISS. Allo stesso tempo, è essenziale far sì che il corpo umano si adatti facilmente alla vita nello spazio. Proprio per questo motivo, per i prossimi sei mesi, i quattro astronauti verranno affiancati dai tre membri della Spedizione 64, ed insieme condurranno ricerche in campi che spaziano dalla microgravità ai vari regimi dietetici.

L’astronave Crew Dragon è tutt’ora agganciata alla ISS e lì vi rimarrà fino alla ripartenza dell’equipaggio. Al contrario, il razzo usato per raggiungerla è atterrato quattro giorni dopo la partenza su un’apposita piattaforma situata nell’Oceano Atlantico. Date le sue buone condizioni, il B1061 verrà riutilizzato a Marzo 2021 per la spedizione Crew-2, diventando di fatto il primo razzo nella storia a prendere parte a più missioni con equipaggio.


Qualche ora dopo il decollo, a sorpresa, un piccolo aspirante Jedi si è intrufolato a bordo. È tradizione che l’equipaggio scelga un oggetto da usare come indicatore di gravità zero, ed i quattro astronauti hanno optato per un pelouche di Baby Yoda nella speranza di far sorridere gli spettatori da casa. Questa è la via scelta dai membri della Crew-1 per portare un pizzico di gioia in un difficile 2020.

Ora non ci resta che aspettare Ottobre 2021, quando NASA e Space-X invieranno Tom Cruise sulla ISS in vista del suo prossimo film.

Kevin Carrara

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