sabato, 27 Aprile 2024

Breaking News del mercoledì – le prime del 2021

Come ogni mercoledì, anche oggi che è l’Epifania, tornano le nostre Breaking News, le prime del 2021, anche se alcune notizie sono ancora di fine 2020.

Oggi parleremo dell’accordo sugli investimenti tra Unione Europea e Cina, poi torneremo sul tema della Brexit e per vedere la reazione scozzese. Dopodiché andremo in Yemen, dove è esplosa una bomba contro il governo in arrivo all’aeroporto. Poi in Russia, dove è stato ridotto il numero di lavori proibiti alle donne, e, infine, in Argentina, dove è stato legalizzato l’aborto.

L’accordo UE-Cina tra investimenti e diritti

Il 30 dicembre 2020 è stato concluso l’accordo sugli investimenti tra Unione Europea e Cina (CAI). I negoziati si protraevano da ormai 7 anni, ma l’ultimo round negoziale ha visto un’accelerata che ha portato alla firma dell’intesa. I giochi, però, non sono ancora conclusi, infatti servirà l’approvazione del Parlamento Europeo, per nulla scontata. I protagonisti di questo ultimo round sono Xi Jinping, Ursula Von Der Leyen, Macron e Angela Merkel. Per quest’ultima, in particolare, è di un traguardo importante che chiude il suo ultimo semestre di presidenza europea; invece la presenza del presidente francese non è stata apprezzata in Italia.

L’accordo va nella direzione della tanto agognata reciprocità, infatti alle imprese europee sarà finalmente concesso l’accesso a settori da cui prima erano totalmente bandite o a cui potevano accedere solo tramite joint venture con aziende locali. Insieme a questa apertura è stata chiesta alla Cina maggiore trasparenza sui propri finanziamenti alle imprese. E’ anche previsto il “divieto di trasferimenti di tecnologia forzata e altre pratiche distorsive”.  Oltre ad ampliare le opportunità di business, l’accordo prevede per la Cina degli standard ambientali, tra cui l’attuazione dell’accordo di Parigi, e di lavoro, in particolare l’impegno cinese a ratificare alcune convenzioni dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sulla tutela del lavoro, anche quelle sul lavoro forzato.

Le perplessità rimangono, soprattutto su certi aspetti politici della Cina, quali la gestione di Hong Kong e il caso degli uiguri. Proprio per questi era arrivata una risoluzione del Parlamento Europeo che chiedeva che l’accordo includesse clausole che vietassero i lavori forzati in Cina. Questo non c’è, ma si trovano le ratifiche delle convenzioni internazionali, la domanda è se questo basterà al parlamento europeo. Soprattutto se questo impegno aiuterà davvero l’etnia uigura.

Andrea Giulia Rossoni

Il cuore impavido scozzese combatte contro la Brexit

Il primo gennaio 2021 è entrato definitivamente in vigore l’accordo della Brexit, che tanto ha fatto esultare il premier inglese Boris Johnson. Ad essere ampiamente in disaccordo all’accordo, tanto da votare in maggioranza assoluta contro l’uscita dall’Europa, sono gli Scozzesi,che si sono ritrovati a seguire un patto che non è stato per nulla digerito, anzi. Già da tempo, la premier scozzese, Nicola Sturgeon, chiede a gran voce l’indipendenza del regno e i toni sono diventati più accesi dopo l’uscita, della Gran Bretagna, dall’unione doganale e il mercato unico. Toni che rimangono infuocati anche per via del messaggio apparso sul suo profilo twitter che recita “La Scozia tornerà presto, Europa. Tenete la luce accesa” e, con sfondo, la foto della scritta provocatoria Europe-Scotland proiettata, il 1° gennaio, nelle vetrate della Commissione Europea a Bruxelles.

A maggio vi saranno le amministrative britanniche e verrà rinnovato anche il Parlamento scozzese; nulla toglie al vento dell’indipendenza scozzese di soffiare sempre più forte e chiedere un nuovo referendum per l’uscita dalla Gran Bretagna, se il partito nazionalista SPN dovesse vincere le elezioni in Scozia.

Manuel Ferrara

Attacco bomba contro il nuovo governo dello Yemen, 25 morti ad Aden

Trenta morti ed oltre cento feriti: è questo il bilancio dell’attentato terroristico avvenuto all’aeroporto Aden, capitale “de facto” dello Yemen, lo scorso 30 dicembre. Obiettivo dell’aggressione il nuovo governo di unità nazionale, arrivato in aereo dopo mesi di esilio forzoso in Arabia Saudita. Miracolosamente nessuno dei componenti del governo è tra i deceduti: erano già scalati pochi minuti prima, e sono stati rapidamente tratti in salvo.

Il 30 dicembre era una data importante, perché segnava il ritorno ad Aden di Hadi e del suo governo “ufficiale”, cacciato in precedenza dal Consiglio di Transizione del Sud, organizzazione secessionista della parte meridionale dello Yemen. Le due entità politiche (i filogovernativi di Hadi e i secessionisti) erano finalmente giunte ad un accordo, sponsorizzato dai sauditi, ed era nato un nuovo governo. In questo modo, avrebbero potuto in breve tempo tornare ad occuparsi dei ribelli Huthi (sciiti zayditi, filo-iraniani) a Nord, che ormai da più di un lustro controllano la capitale Sana’a.

L’attacco, estremamente sanguinoso, non ha ancora un mandante chiaro. Subito i sospetti si sono concentrati sugli Huthi, che avversano per ovvie ragioni l’alleanza tra secessionisti e filo-governativi. I ribelli del nord hanno però rigettato le accuse, e il governatore di Aden ha richiesto sul campo un’investigazione ONU. Altri possibili indiziati sono l’AQAP (al-Qai’da in the Arabian Paeninsula) o i ranghi medio-bassi dei secessionisti, scontenti dell’accordo. Al momento è troppo presto per sbilanciarsi o tentare dei pronostici. Rimane comunque evidente un fatto: lo Yemen, al settimo anno di guerra civile, non riesce a trovare pace.

Matteo Suardi

Russia riduce il numero di lavori proibiti alle donne

Il 2021 sembra essere iniziato per il verso giusto, almeno per quanto riguarda l’inclusione di genere in Russia.

Nel 1974, l’Unione Sovietica pubblicò una lista contenente i lavori proibiti alle donne al fine di preservarne la salute, essenziale per dare vita a nuovi ‘compagni’. Quando Vladimir Putin salì al potere, espanse la lista fino ad includere un totale di 456 diverse professioni. Nel corso degli anni, diverse associazioni a favore dei diritti delle donne hanno cercato di sfoltire il numero, sottolineando l’irrazionale logica dietro la presenza di alcuni lavori. Un bambino di un anno pesa in media 10kg; eppure, certe mansioni sono state incluse proprio perché richiedevano alle donne di sollevare tale peso almeno due volte ogni ora. Non ha molto senso.

Lo scorso anno, il Ministro del Lavoro ha proposto una nuova lista, entrata in vigore il primo Gennaio 2021, e che ha ridotto a 98 il numero di professioni proibite alle donne russe. Dopo soli due giorni, la metropolitana di Mosca ha annunciato pubblicamente l’assunzione di dodici macchiniste ferroviarie. Prima di essere assunte, si sono dovute sottoporre ad un programma d’addestramento avviato lo scorso anno, e riservato a donne tra i 22 ed i 43 anni già parte dello staff della metropolitana.

La capitale ha annunciato che intende assumere ulteriori donne in futuro, distanziandosi così dalle tradizioni del passato. Di fatto, Mosca aveva smesso di ingaggiare macchiniste nei primi anni ’80, e l’ultima rimasta si era ritirata nel 2014.

La nuova lista non è perfetta, anzi, già solo l’esistenza di una lista è un grave problema. Tuttavia, la riduzione a 98 delle professioni proibite alle donne è un inizio.

Kevin Carrara

Svolta storica in Argentina, l’aborto è legale

Storica svolta in Argentina: il Senato ha approvato in via definitiva la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Il provvedimento, già approvato dalla Camera dei deputati, è passato, con 38 voti a favore e 29 contrari, dopo 12 ore di discussioni e l’imprevisto ampio margine dei favorevoli ha provocato l’esultanza di migliaia di militanti pro aborto in attesa fuori dal Congresso.

Finora l’aborto era consentito solo se la gravidanza era la conseguenza di una violenza, oppure quando esisteva un pericolo grave per la vita della donna incinta; ma moltissime sono in Argentina le interruzioni clandestine, effettuate in costose cliniche private oppure in strutture che non rispettano le norme di sicurezza, mettendo a repentaglio la salute delle donne. Secondo i dati del governo riportati dalla stampa argentina, nel Paese da 44 milioni di abitanti ogni anno si praticano fra 370 mila e 520 mila aborti clandestini, e 38 mila donne sono ricoverate in ospedale per le complicazioni che ne conseguono.

Un passo in avanti dall’America Latina

L’Argentina diventa così uno dei pochissimi Paesi dell’America Latina dove è permessa l’interruzione volontaria di gravidanza (IVE nella sigla in spagnolo). Le minori di 13 anni potranno abortire con l’approvazione di almeno uno dei loro genitori o un rappresentante legale, mentre le donne di età compresa tra 13 e 16 anni avranno bisogno dell’autorizzazione solo se la procedura compromette la loro salute; dai 16 anni in poi la decisione spetta unicamente alla donna. La nuova legge sostiene anche la responsabilità dello Stato nell’attuazione della legge sull’educazione sessuale e aggiorna le pene detentive per chi causa l’aborto o acconsente a praticarlo oltre il tempo massimo previsto dalla legge, ovvero la 14esima settimana di gestazione.

Il movimento che si è battuto per questa legge – la Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito – è nato 15 anni fa per affiancare le femministe nella battaglia per la legalizzazione dell’aborto. Il suo simbolo sono i fazzoletti verdi (pañuelos). Durante la lunga seduta del Senato, migliaia di persone, fra favorevoli alla legalizzazione dell’aborto e contrari, militanti dei collettivi “pro-vita”, si erano radunate davanti al Congresso in attesa del risultato: quando è arrivato erano le 4 della mattina nell’estate di Buenos Aires. 

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