La nave è l’eterotopia per eccellenza. Le civiltà senza navi sono come i bambini, i cui genitori non hanno un letto matrimoniale sul quale poter giocare. I loro sogni allora si inaridiscono; lo spionaggio si sostituisce all’avventura, e lo squallore della polizia prende il posto dell’assolata bellezza dei corsari. Michel Foucault, Le eterotopie
Risuona da lontano l’eco di Odisseo portato dalla nave del grande nostos – o ritorno -, in patria, mentre scorre senza paura il Bateau Ivre di Rimbaud, quasi volesse sollevarsi: il reale ha assunto la forma di una visione mitica e fantastica. Eppure si è nella propria stanza e anche lo specchio riflette un’immagine inesistente: intanto il mondo labirintico dell’America di Kafka sembra sostituire le pareti. Questi riferimenti hanno un minimo comune denominatore: la nave che agisce tramite una singolare comunicazione. Lei si chiama eterotopia, può diventare inquietante e inaspettata, eppure è un serbatoio di immaginazione che inconsapevolmente può essere condiviso socialmente, oppure, solo nella propria stanza. Quando? Nel corso dei secoli, degli anni, o in tre mesi di pandemia.
Esistono dei topoi, o meglio topoi letterari, che si ripetono in diverse narrazioni: il lettore li riconosce immediatamente e si immedesima nel loro significato. Il viaggio di ritorno, il porto sicuro, il locus amoenus: i luoghi comuni della finzione letteraria. Eppure questo schema ricorrente non riguarda solo l’universo narrativo, ma coinvolge anche l’universale percezione dei luoghi – intesi come posti fisici – da parte dell’uomo: gli spazi di riferimento costanti nel tempo. E se questi topoi, che sia una narrazione o un luogo esistente diventano altro da sè?
LA METAMORFOSI DEL LUOGO
Era il 1967, mentre Montale scriveva ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale, il filosofo francese Michel Foucault nella conferenza tunisina Des espaces autres afferma sei princìpi per definire quei luoghi che, in determinate condizioni, modificano il loro significato e diventano portatori di altro senso, dei contro-spazi veri e propri. Chiariamo: supponiamo uno spazio e la definizione attribuita ad esso: spazio x; aggiungiamo che questo spazio potrebbe diventare y, pur rimanendo x; concludiamo che potrebbe benissimo essere uno spazio z, senza dimenticarsi di x. Abbiamo definito la metamorfosi del luogo secondo Foucault, intesa, in modo accademico come
Quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano. Michel Foucault, Dits et écrits
Lo specchio, il cimitero – che permette un legame simbolico tra mondo dei vivi\morti- i teatri, le “prigioni”, i cinema sono solo alcuni dei luoghi definiti come eterotopici – distinte in eterotopie “di crisi” e “di relazione” – , luoghi aperti su altri luoghi che permettono una comunicazione tra gli spazi e una contestazione al contempo mitica e reale del luogo in cui viviamo. Questi spazi assolutamente altri si differenziano nel corso della storia -come il metamorfico significato simbolico del cimitero – possono sovrapporre luoghi totalmente diversi tra loro, spesso creano un ambiente di chiusura e apertura e possono essere luoghi di deviazione – questi ultimi saranno approfonditi, a proposito delle prigioni, in Sorvegliare e punire– .
LA NAVE NELLA PROPRIA STANZA
La nave, lo spazio e l’Altro è una pubblicazione di Paolo Lago e rappresenta incredibilmente il significato più profondo e metamorfico dell’eterotopia. La nave: mette in comunicazione luoghi diversi tra loro e pur variando gli anni, i secoli e i giorni rimane sempre uguale a se stessa. L’autore riprende Foucault affermando che essa è l’eterotopia per eccellenza: lo spazio della nave può raccogliere emigranti, esiliati, oppure viaggiatori verso l’ignoto, l’ade o avventure senza ritorno. La nave non cambia, crea connessioni tra spazi incompatibili: attorno avviene una metamorfosi, -per esempio Ovidio la riconosce come spazio di scrittura, statico, fermo, mentre fuori si alza una tempesta- ma dentro è immutabile, eppure totalmente legata alla scansione del tempo.
LE ETEROCRONIE
Che sia una nave che viaggia per secoli, oppure per giorni, la manifestazione del luogo e direttamente proporzionale alla forma che assume il tempo. Stiamo parlando di eterocronie: il tempo è visceralmente connesso alle eterotopie e la sua scansione definisce i tratti stessi dello spazio. Le biblioteche, i musei, i parchi divertimento non è un caso se sono percepiti come senza tempo, fermi, quasi i non-luoghi di Marc Augè, o, ancora meglio, le sale d’attesa e i centri commerciali. Uno spazio altro dato da un tempo altro: un altro principio che arricchisce la caleidoscopica percezione del reale.
LA NAVE IN UNA PANDEMIA
Almeno una volta, durante il grandissimo periodo di lockdown, ci si è imbattuti in domande e risposte a proposito di una strana e nuova percezione dello spazio – e del tempo – circostante. Senza semplificare un fenomeno ancora più grande e che merita un’argomentazione complessa, che fosse una strada, un giardino, la casa: tutto si è allontanato dalla nostra abituale sensazione di esso. Il virus si è infiltrato in ogni centimetro della quotidianità rendendola diversa da sè e attuando una vera e propria neutralizzazione del luogo e distorta percezione del tempo. E così, tristemente, i luoghi attraverso gli occhi della pandemia sono diventati un disperato esempio di una eterotopia. Il nostro terrazzo, la stanza da letto, ma anche lo specchio: sono diventati spazi altri. La piazza vuota, il marciapiede invisibile, i luoghi antropologici di Marc Augè rimangono condivisi socialmente ma per un attimo sembrano neutralizzarsi.
ALL’ORIGINE DEL LUOGO
Abbiamo parlato di ambienti che diventano altro da sè. Ma come si affermano degli spazi stabili? E soprattutto: esiste un locus riconoscibile e costante nel tempo? Prendiamo una serie di luoghi quali del sacro, della comunità, dell’habeo o posto di abitazione, – senza generalizzare o aggrapparsi a stereotipi occidentali, – sappiamo esattamente la loro fisionomia e li riconosciamo all’istante; li abbiamo già conosciuti? Non necessariamente, eppure rientrano all’interno di un universo simbolico che coinvolge una comunità o un insieme più ampio di persone. Perchè? Questi sono segnati da tradizioni locali sì, ma anche da una costruzione simbolica e concreta dello spazio, qualificandosi così come identitari, relazionali e storici. Più precisamente, i luoghi possono assumere un senso, stringere un patto invisibile con l’uomo e diventare entità simbolico-culturali: si chiamano luoghi antropologici, creatori di simboli topici ricorrenti e stabili nel tempo.
Ai luoghi antropologici, stabili, riconosciuti, creatori di senso, riportando ancora Marc Augè si oppongono – non in modo matematico e diretto, ma la differenza è molto sottile – quei luoghi frutto della surmodernité, globalizzazione, contemporaneità più assoluta: i non-luoghi o spazi di transito, di provvisorietà. E a proposito riprendiamo proprio le eterocronie: i luoghi con tempi altri, quali i centri commerciali, sale d’aspetto, aereoporti, ascensori o campi profughi. Abbiamo, un’altra volta, definito una tesi nuova e opposta rispetto all’ordinario concetto di luogo.
TORNARE VERSO LA NAVE
Quella parte di spazio idealmente o materialmente circoscritta, il luogo, può identificarsi sia come sempre uguale a se stessa che in una nuova manifestazione: in un breve o lungo arco temporale. Anche i posti ricorrenti possono essere percepiti come altri. Lo abbiamo ripetuto e lo ripetiamo nelle nostre vite, sembra scontato e quasi impercettibile, eppure contribuisce a definire la nostra percezione esterna.
E se secoli di eterotopie – e anche utopie – hanno modificato lo sguardo dell’uomo sul mondo, tre mesi di pandemia oppure un giorno soltanto, se osservate con occhi altri possono diventare qualcosa diverso da sè e non diverso come sconosciuto. E posarsi anche in quei luoghi che tutt’ora prendono parte al concetto di spazio altro: quali i cimiteri, gli ospedali, le navi, le carceri, i giardini e, ancora, le pareti della nostra stanza.