In Iraq e Libano continuano le proteste contro i governi, accusati di corruzione e inadeguatezza nel risolvere la crisi economica che attanaglia i due paesi. Da un anno ormai le manifestazioni si sono trasformate in rivolte, con centinaia di morti e dure repressioni da parte dell’autorità. Nel silenzio dell’opinione pubblica, la rabbia dei giovani libanesi e iracheni, può scuotere di nuovo il mondo arabo.
Piazza Tahrir e piazza dei martiri sono nomi ricorrenti nel mondo arabo, luoghi simbolo di rivoluzioni che negli ultimi anni hanno scosso il medioriente e scritto nuove pagine di storia. La prima è stata l’epicentro della rivolta egiziana del 2011 e del colpo di stato del 2013; piazza dei martiri, a Tripoli, divenne il simbolo della rivoluzione libica durante la primavera araba nel 2011 e dei funerali dei combattenti caduti nella guerra all’Isis del 2015. Ma oggi a scendere per le strade e a riempire questi luoghi sono giovani iracheni e libanesi, delusi e traditi dai loro leader, scesi in piazza per motivi differenti ma uniti dal desiderio di cambiare il presente e il futuro del paese
I cento giorni di rivolta che stanno scuotendo il Libano
L’annuncio della nascita di un nuovo governo tecnico, sembrava aver sedato la rivolta che dal 17 ottobre vedeva gente scendere nelle strade. In queste settimane, invece, i manifestanti sono tornati in piazza scontrandosi contro la polizia, accusando il nuovo esecutivo di essere vicino alle vecchie figure politiche e religiosa. A protestare sono soprattutto giovani che mettono in discussione l’intero assetto sociale e politico del paese, opponendosi anche ad Hezbollah, il partito sciita che da anni influenza la vita dei libanesi. Le richieste dei giovani puntano a un vero e proprio cambiamento politico. Le autorità si sono mostrate incapaci di affrontare la crisi economica e la corruzione; gli scontri rischiano di estremizzare ancora di più la divisione settaria del paese. Hezbollah ha minacciato dure ritorsioni contro chi sarebbe sceso in piazza, spaventati dalla possibilità di perdere quel potere guadagnato negli anni, soprattutto dopo la guerra con Israele.
L’Iraq assediato
Dopo anni di guerra, il paese è in ginocchio e da ottobre i giovani scendono in piazza contro la situazione in cui vivono. La repressione del governo ha causato almeno 500 morti, aumentando la rabbia e la frustrazione dei manifestanti, stanchi dopo anni di violenza e delle interferenze delle altre potenze straniere. Nel mirino ci sono anche Usa e Iran che hanno usato il paese come terreno di scontro tra di loro. Soprattutto l’Iran ha sfruttato il vuoto politico per allargare la sua influenza sul paese. Ambizioni che stonano con le rivendicazioni di sovranità nazionale da parte dei giovani. La stessa violenza utilizzata da esercito e milizie sciite come risposta alle manifestazioni, vede un coinvolgimento di Teheran. Il rischio maggiore è quello di ricreare le condizioni che portarono alla nascita dell’Isis, esasperando le divisioni sociali e religiose che hanno accompagnato l’Iraq dal 2003 fino ad oggi.
Tra sogno e paura di nuove guerre
Come per la primavera araba, queste nuove rivolte sono iniziate in modo spontaneo, con giovani spinti da disperazione e speranze di cambiamento. Ma se le rivoluzioni del 2011 ebbero un impatto mediatico, le proteste in atto in Libano e Iraq si stanno svolgendo nel silenzio dei media e dei leader europei. In questi giorni è morta la blogger tunisina Lina Ben Mhenni, protagonista della rivoluzione dei gelsomini del 2011. Insieme ad altri ragazzi, divenne il simbolo della primavera araba. Ma quella speranza di cambiamento fu un’illusione, a causa del mancato aiuto di Stati Uniti ed Europa nella transizione democratica in libia, Egitto, Siria, Tunisia. Oggi l’occidente rischia lo stesso errore; le rivolte in Libano e Iraq possono trasformarsi in nuove guerre e portare nuovo caos nella regione. Permettendo al terrorismo di infiltrarsi e costruire nuove basi per la propria guerra