giovedì, 07 Novembre 2024

Vogue 2020 e la riforma del 1975: perché Harry Styles con la gonna è considerato atto di rivoluzione

Ciò che fa più discutere il mondo social degli ultimi giorni, al di là della corsa alle scarpe Lidl, è la copertina che Vogue ha riservato all’ex One Direction Harry Styles, il quale posa fieramente indossando abiti femminili. Si tratta di un atto di sfida alla concezione tossica della mascolinità ad oggi vigente nella società.

Questo gesto non lo ha esentato da critiche feroci. Tra le quali spicca anche quella oltreoceano proveniente da Candace Owens, scrittrice ed attivitista afro-americana, che lancia un grido di aiuto al popolo di Twitter: “Ridateci gli uomini veri”. Viene naturale allora chiedersi perché, nel 2020, un uomo in abiti femminili possa essere considerato “non vero”. Che cos’è un vero uomo? Sono quesiti che trovano le loro radici nel fenomeno della “Mascolinità tossica” che Harry Styles in prima persona ed altri artisti di primo pelo del mondo Hollywoodiano, si sono preoccupati di sfidare.

La mascolinità tossica è la radicata convinzione di un uomo quale essere forte e superiore, in diritto di scegliere ed esercitare i suoi poteri-diritti in tutto ciò e verso chiunque lo circondi. Lo stile di vita “Noi Uomini Duri” non è ancora destinato a perdere il proprio hype, e sembra dunque essere ancora una costante prerogativa della società moderna.

Le radici della “mascolinità tossica”: il codice civile del 1942

Quel che rende ancora più curioso questo fenomeno, è il parallelismo che possiamo fare tra esso e la legislazione italiana. Le stesse leggi italiane, per tantissimi anni hanno reso legittimo il fenomeno oggi denominato “mascolinità tossica”. Questo si deve al codice civile introdotto nel 1942, che prevedeva una disciplina matrimoniale fondata sul modello patriarcale. Al vertice della famiglia stava il pater familias, colui che godeva della potestà genitoriale e maritale.

L’uomo era infatti titolare di uno ius possidendi (letteralmente diritto di possedere) verso la moglie, e questo non solo era previsto dalle leggi dell’ordinamento giuridico, ma veniva precisamente delineato in tutti i suoi aspetti più salienti. Non era possibile infatti che la donna sporgesse denuncia per violenza o abusi sessuali, se questa fosse riferita al coniuge. Inoltre, il reato che punisce l’abbandono del tetto coniugale poteva essere giustificato in presenza di “Giusta causa”, ravvisata dai tribunali nelle ipotesi in cui la moglie si fosse resa protagonista di una reazione extra-coniugale o avesse altrimenti offeso lo spirito e la morale del marito.

La riforma del diritto di famiglia 1975

Tutto questo era destinato a cambiare con la fine del fascismo e l’avvento della Carta costituzionale, che nel 1948 conclamava la parità giuridica e morale dei coniugi. Tuttavia per ottenere questo risultato effettivo, l’Italia ha dovuto attendere trenta lunghi anni, poiché questo avvenne ad opera della riforma del diritto di famiglia, con la legge 151/1975. Legge che la stessa Nilde Liotti all’epoca definì come “Legge di estensione della Costituzione”. Finalmente nella metà degli anni ’70 la donna veniva riconosciuta non solo come componente fondamentale del nucleo famigliare. Ad essa, però, spettavano le medesime responsabilità dell’uomo e le venivano riconosciuti i medesimi diritti.

Se il forte ritardo della riforma ha destato non poche critiche, non si può non sottolineare il fatto che ad oggi, forse, non è ancora del tutto attuata. Le conseguenze derivanti dal radicamento dell’ideologia della “mascolinità tossica”, nella società, sono tuttora rilevanti. L’uomo deve essere forte, non deve essere una “femminuccia”. Questa espressione genera problematiche: sia per le donne, costrette a subire comportamenti patriarcali in ambito lavorativo e non; sia per gli stessi uomini, che si trovano ad essere sottoposti a stress e tensioni legate al perseguimento di modelli maschili estemporanei.

Non vi è dubbio, e su questo ad oggi non si sollevano critiche, che le scelte individuali legate alla propria persona, nella misura in cui non ledono o offendono i diritti delle altre, siano libere. Questo è sancito nell’articolo 21 della Costituzione che riconosce la libera manifestazione del proprio pensiero. Ma se la scelta di un abito può sollevare un tale polverone, non resta da chiedersi se forse si debba ancora intervenire con un’ulteriore legge di estensione della Costituzione. Una legge che renda effettiva la libertà di manifestare il proprio pensiero.

Allegra Dominici
Allegra Dominicihttps://www.sistemacritico.it/
Mi chiamo Allegra Dominici e sono iscritta alla facoltà di Giurisprudenza di Urbino. Mi piace rivedere ciò che studio dai libri in ogni aspetto della vita quotidiana. Costituzionalista convinta. In futuro? Aule del tribunale e lunghe toghe. Ma mi piace anche viaggiare, guardare serie tv e divertirmi con gli amici.

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