venerdì, 04 Ottobre 2024

Armenia: un piccolo Stato dai grandi nemici

L’ultima escalation di tensioni nel Nagorno-Karabakh, tra Armenia e Azerbaijan, sembra preludere a nuove rivendicazioni territoriali da parte del secondo, creando così una crisi esistenziale per il primo.

Quanti altri conflitti e tentativi di pulizie etniche può sostenere un paese con poco meno di 3 milioni di abitanti, senza sbocco sul mare, con due confini su quattro inaccessibili e pochi disposti ad aiutarlo seriamente?

Confini tra Armenia e Azerbaijan dopo la Seconda Guerra del Nagorno – Krabakh.

Confini Contesi e Promesse Infrante

Era prevedibile che prima o poi si sarebbe verificato quanto accaduto nel 2020 durante la seconda guerra del Nagorno-Karabakh.

In quell’occasione, Mosca era riuscita a mediare un cessate il fuoco e aveva promesso di dispiegare truppe di peacekeeping per sorvegliare il corridoio di Lanchin, che avrebbe collegato l’Armenia con le sue exclavi nel Karabakh, e il collegamento stradale di Zangezur tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Naxcivan.

Tuttavia, nel 2023, il ritiro russo ha lasciato gli armeni del Nagorno-Karabakh vulnerabili all’assedio azero.

L’Assedio ad Artsakh e le Conseguenze Umanitarie

Da aprile 2023, il governo azero ha imposto un blocco sul corridoio di Lachin, sospendendo i collegamenti tra l’Armenia e i suoi territori all’interno dell’Azerbaijan. La conseguenza principale di questo blocco è stata una drammatica crisi umanitaria, con 120.000 armeni del Nagorno-Karabakh privati dell’accesso ai beni di prima necessità.

Di fronte alla relativa indifferenza internazionale e alla debolezza militare dell’Armenia, Baku riuscì ad avanzare e in soli due giorni di conflitto, dal 19 al 21 settembre, a risolvere la trentennale disputa sul Nagorno-Karabakh con la ripresa della Repubblica di Artsakh.

Ne è seguito un esodo di circa 100.000 armeni dal Karabakh verso Yerevan, con una crescente preoccupazione delle organizzazioni per i diritti umani per la protezione del popolo armeno e il rischio di pulizia etnica da parte dell’Azerbaijan.

L’ Armenia cerca alleati

Il successo di Baku è dovuto principalmente a due fattori: l’indifferenza di Mosca e l’aiuto militare da parte di Turchia e Israele.

I due hanno sostenuto l’Azerbaijan anche durante il conflitto durato 44 giorni nel 2020: la Turchia ha giustificato il sostegno secondo la logica di “una nazione, due stati“, mentre Israele un’ottica anti-iraniana, stato considerato una minaccia esistenziale.

Dall’altro lato c’è l’Armenia: rinchiusa nelle montagne del Caucaso senza sbocchi sul mare, i cui i confini con la Turchia e Azerbaijan sono bloccati, e la cui connessione con il mondo dipende dal buon cuore della Georgia e dell’Iran.

Non potendo più fare affidamento sullo storico alleato a Mosca, l’Armenia ha cercato supporto da Iran e India. Con la prima mira a migliorare i rapporti commerciali, con la seconda cerca supporto militare. L’Armenia dipende dall’Iran per la connettività con l’India e l’Asia centrale, in particolare per l’accesso al porto di Chabahar e Bandar Abbas, e per lo spazio aereo: tutto ciò che deve arrivare in Armenia transita tramite l’Iran.

La vulnerabilità Armena va oltre ai propri confini

Nonostante l’impegno da parte dell’Armenia di diversificare la propria rete di alleanze, la sua vulnerabilità permane: le tensioni con l’Azerbaijan potrebbero trovare il nuovo pretesto nella regione di Naxcivan e riaccendere le ostilità.

Sembrerebbe che la delegazione europea si sia posta come mediatore alternativo alla Russia. Vista l’importanza della collaborazione con Baku, in un’ottica di approvvigionamento di gas e di interessi globali, essa cerca di preservare la stabilità regionale.

In realtà, il ruolo dell’UE si è focalizzato perlopiù sugli aiuti umanitari all’Armenia nella gestione dell’esodo dei connazionali dall’ormai ex repubblica di Artsakh, senza contestualmente attuare sanzioni mirate volte a condannare l’aggressore.

Nel frattempo, gli armeni, sia all’interno che all’esterno dei loro confini, si trovano a rischio di oppressione e discriminazione, con la diaspora armena a Gerusalemme che rappresenta un ulteriore esempio di questa vulnerabilità. Gerusalemme ospita la diaspora armena più antica al mondo, che costituisce il quarto quartiere della Città Vecchia. Attualmente il quartiere è abitato da appena 1000 persone, e la loro esistenza è minacciata dai bulldozer israeliani pronti a demolire case per costruire hotel a quattro stelle.

La recente escalation nel Nagorno-Karabakh ha messo in luce la vulnerabilità del paese di fronte a potenze regionali determinate a perseguire i propri interessi, ignorando le promesse di pace e stabilità. Mentre le tensioni persistono e la comunità internazionale rimane in gran parte spettatrice, l’Armenia si trova a dover fare i conti con un futuro incerto e pieno di sfide.
La domanda che sorge spontanea è: quanto tempo ancora potrà resistere un paese di così piccole dimensioni, con così poche risorse e pochi alleati affidabili, di fronte a pressioni sempre più gravi e persistenti.

Angelica staszewska
Angelica staszewskahttps://www.sistemacritico.it/
Per semplificare scriviamo Angelica. Cresciuta poliglotta, alternando telegiornali polacchi e italiani; ho sviluppato un particolare interesse per la geopolitica, la diplomazia internazionale e per le lingue. Sono laureata in scienze internazionali e diplomatiche, parlo cinque lingue e ogni tanto nuoto.

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