venerdì, 04 Ottobre 2024

Di quella poesia che resisteva

La poesia antifascista

Era il primo maggio del 1925 quando Benedetto Croce redigeva, con esigenza, il Manifesto degli intellettuali antifascisti, resistenza poetica al già pubblicato Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Il contenuto rappresenta un equilibrato connubio di sagacia e denuncia, come recita il primo paragrafo relativo all’adesione di un partito da parte del collettivo intellettuale italiano:

[…] Varcare questi limiti dell’ufficio a loro assegnato, contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze da soppressione della libertà di stampa, non può nemmeno dirsi errore generoso.

Croce e Gentile divengono due facce della medaglia, uomini di cultura schiarati sul quel campo di battaglia bianco foglio. Espressioni di tesi dimetricamente opposte, Caino e Abele figli della stessa madre Italia.

Vignetta satirica che ritrae la reazione di Giovanni Gentile al Manifesto degli intellettuali antifascisti

Da Roma a Predappio

Il pesante passo della Marcia su Roma riecheggia cento anni dopo. Il 28 aprile a Predappio si è tenuta una celebrazione per la ricorrenza del settantesimo anno dalla morte del duce. I partecipanti senza pudore si definiscono fascisti, portatori di un ideale patriottico che “sta ormai svanendo”, sotto lo sguardo vacuo e incapace delle forze dell’ordine.
Da giovanissimi ad anziani, le 150 persone riunite contavano età disparate, professione tra le più diverse, accomunati dall’esaltata idealizzazione del regime fascista, vista la scarsa presenza di partecipanti che avessero effettivamente vissuto sotto l’operato di Mussolini. Consigliano a malincuore di non eseguire il saluto romano, ma soltanto per le “spese processuali”, salvo chi non può proprio fare a meno di esprimere il proprio fanatismo al ritmo di violenti coro anti comunisti. Millantano un senso di commemorazione, un ideale non più politico ma memoriale, loro che vantano di disfarsi degli infidi libri di storia scolastici. E proprio su questo sovra utilizzo della Storia, Pasolini esortava ad intervenire:

Se vogliamo fare dell’antifascismo sul serio noi non dobbiamo pronunciare nei confronti dei fascisti dei giudizi intellettuali o moralistici ma dei giudizi storici e politici.

Dal Fascismo secondo Pasolini

Nella celebrazione del centenario della sua nascita, questo 2022 accoglie in sé due dinamiche vissute dallo stesso Pier Paolo Pasolini: fascismo e antifascismo. Nonostante la proposta di legge C. 3074, il cui primo articolo introduce nel Codice Penale il delitto di propaganda del regime fascista e nazifascista, la nostra contemporaneità assiste sempre più di frequente ad uno sguardo indulgente ai richiami del regime.

Quella nevrosi fascista, appannaggio per eccellenza della borghesia italiana, descritta da Pasolini, malata nella stessa fisicità dei suoi sostenitori, pare non essersi in alcun modo sradicata dall’intricato nodo di radici del nostro paese. Il giudizio pasoliniano del regime come ignominia italiana, corruzione consumistica della gioventù, è stato stravolto dalla comparsa di un meme anti-antifascista fatto risalire ad un ipotetico scambio epistolare tra Moravia e lo stesso Pasolini, che recita:

Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso.

La frase dimostrata non riconducibile a Pasolini, grazie ad un attento studio linguistico e analitico del collettivo Wu Ming, prontamente utilizzata da Salvini in suo tweet, diventa creazione ad hoc per chi vuol far dell’antifascismo un belligerante pericolo sociale. L’onda di mani tese preoccupa di meno

La lingua del 1923

In questo connubi di ricorrenze, schiacciati nella morsa della ciclicità temporale, c’è da chiedersi: sandwich tornerà nuovamente tramezzino, come volevano quei primi provvedimenti fascisti sulla lingua, effettuati l’anno successivo alla marcia su Roma, vietando ogni tinta anglofona per la sola motivazione di nostalgico ricordo?

Può ad oggi esistere una poesia di resistenza?

Il discorso è complesso. Gli stimoli odierni passano per veicoli differenti. La letteratura non può farsi sola resistenza di fronte alle urla di Predappio. Ma una resistenza poetica, seppur minima, è possibile, nella lettura critica dei testi di coloro che il regime lo hanno vissuto. Nella celebrazione radicalmente antipode di una memoria di violenze.

Sofia Paolinelli
Sofia Paolinellihttps://www.sistemacritico.it/
Classe 1997. Laureata alla magistrale in Lettere Classiche attualmente lavoro in campo editoriale. Classicista con ambizioni interdisciplinari provo un amore sconfinato per i panorami scozzesi, i musical e il cinema hollywoodiano degli anni '50. Attualmente in possesso di circa una ventina di quaderni su cui periodicamente scrivo piccoli racconti. Per il blog mi occupo della sezione di cinema e letteratura.

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