venerdì, 13 Dicembre 2024

Il confine sottile della censura: il caso Paolo Nori

Fin dove è giusto spingersi

La censura del corso di Paolo Nori su Dostoevskij da parte dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca è una scelta che ha suscitato diverse polemiche. L’insegnamento è stato successivamente ripristinato, con evidenti scarsi risultati; può la reticenza di Nori nel presentarsi in Bicocca essere l’allegoria di una censura spropositata? Soprattutto in questo contesto di conflitto geo-politico, condannare la cultura russa è effettivamente la giusta mossa?

Un nome troppo russo

In un terreno politico così instabile, anche il patrimonio intellettuale di una nazione può assumere i tratti di un taboo. Un corso universitario diventa un’arma sottile con il rischio, forse, di veicolare un pensiero filo-russo. La Bicocca, una vera e propria istituzione, non ha saputo cogliere la figura di Dostoevskij, come quella di un autore a suo modo sovversivo, dalle cui riflessioni emerge una critica morale della società russa e una forte volontà di spingere gli uomini a migliorarsi. Si è preferito eleminare questa recente opportunità di confronto intimoriti da un nome che suona così russo. Dostoevskij è rimasto schiacciato in questa personale caccia alle streghe, la scure del giudizio è calata: colpevole di essere russo.

Dostoevskij contro

La scomodità che la Bicocca ha intravisto in questo insegnamento cela la delusione di aver sprecato una perfetta occasione di confronto. La possibilità di approcciarsi alle opere dostoevskiane adducendo un nuovo focus, quello di una guerra in corso, si è smarrita. Questa censura assume i tratti di una madre troppo apprensiva che preferisce zittire piuttosto che educare. Evitando ogni controversia si ottiene l’unico risultato di impedire la formazione di una mentalità analitica e critica, assolutamente necessaria. Viene da chiedersi se Dostoevskij si stia rivoltando nella tomba. Lui che dalla Russia è stato punito e condannato viene nuovamente boicottato dalla madre patria, per il crimine delle proprie origini.

Ritratto di Fedor Dostoewskij, Vasilij Grigor’ evic Perov,1872 (Galleria Tret’jakov, Mosca)

In separata sede

Che molti abbiamo manifestatamente preso le distanze dalla Russia è un fatto evidente: si pensi a Simon Rees, direttore artistico della fiera d’arte Cosmoscow, che dopo aver mosso alcune critiche alla politica putiniana sui social ha drasticamente tagliato i legami con la sua posizione. Oppure Francesco Manacorda direttore artistico della VAC Foundation di Mosca, dimessosi proprio a causa del conflitto. Per quanto riguarda la Bicocca è difficile porre la loro strategia sullo stesso piano dei casi appena citati.

Il lato nascosto

Se la cultura fallisce nell’insegnarci ad essere critici, questa è una grande sconfitta. Rimuovere dalle nostre librerie, dalle nostre università, dai nostri programmi culturale ogni riferimento alla Russia è effettivamente una dimostrazione di sostegno all’Ucraina? Cosa vuole dimostrare questa censura? Forse è il lato nascosto della luna o meglio del politically correct, quando si raggiungono vette estremiste e piuttosto che affrontare il discorso si preferisce seppellirlo nel non detto. La motivazione addotta dal rettore del “voler evitare ogni forma di polemica” è nociva, come è nocivo tutto ciò che impedisce la creazione di un dibattito.

Posizioni differenti

Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt si è infatti pronunciato contrario alla campagna di ostracismo, o meglio di cancel culture, nei riguardi della cultura russa. Così si è espresso, a margine della presentazione per la donazione di un dipinto di Silvestrini: “Sono assolutamente assurde e controproducenti richieste come abbattere statue di autori russi, non mandare per punizione opere in Russia per dieci anni, oppure chiudere il museo delle icone russe di Palazzo Pitti […] la cultura deve essere la prima ad attivarsi ancora prima dell’economia”. Forse anche lo stesso Dostoevskij, conscio dell’orrore delle guerra, avrebbe condiviso questa opinione, volendoci ricordare che “l’arte e la rivolta non moriranno che con l’ultimo uomo”.

Sofia Paolinelli
Sofia Paolinellihttps://www.sistemacritico.it/
Classe 1997. Laureata alla magistrale in Lettere Classiche attualmente lavoro in campo editoriale. Classicista con ambizioni interdisciplinari provo un amore sconfinato per i panorami scozzesi, i musical e il cinema hollywoodiano degli anni '50. Attualmente in possesso di circa una ventina di quaderni su cui periodicamente scrivo piccoli racconti. Per il blog mi occupo della sezione di cinema e letteratura.

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