lunedì, 29 Aprile 2024

Le Pietre d’inciampo come ricordo del massacro della Shoah

In occasione della Giornata della Memoria, celebrata tradizionalmente il 27 gennaio, numerose sono le iniziative proposte da associazioni e stati nazionali. 
Una di quelle che non ha ancora perso il suo ascendente, e anzi sembra destare sempre maggior interesse, è quella delle cosiddette “Pietre d’inciampo” (o Stolpersteine). 

Che cosa sono?

Questi oggetti commemorativi si trovano comunemente passeggiando per le strade delle città aderenti all’iniziativa. 
Il loro scopo è quello di ricordare le vittime della Shoah attraverso una piastra di ottone, applicata sulla pietra, con sopra inciso il nome delle vittime pervenute.
La corretta ubicazione è davanti alle abitazioni dei deportati o nei luoghi dove furono fatti prigionieri. 

Secondo Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvissuta all’Olocausto, le Pietre d’inciampo sono “il funerale d’emozione per le vittime senza memoria della Shoah”.

Esempio di Pietra d’inciampo.

Curiosità sul nome:

Il termine “Pietre d’inciampo” rimane del tutto simbolico. Ragion per cui, non si tratta di un ostacolo fisico; bensì di uno visivo e mentale. Si tratta, dunque, di pietre in cui ci si può imbattere per la strada e che possono recare “un inciampo” alla persona, che si ferma a guardarle.

L’appellativo riprende il passo della Bibbia, contenuto nella Lettera ai Romani di Paolo di Tarso: “Ecco, io metto in Sion un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà deluso”.

Origine e diffusione dell’iniziativa:

Il progetto è partito a Colonia nel 1992, ma ha riscosso da subito l’attenzione degli stati europei e oggi coinvolge ben ventisei paesi. 
L’idea è da attribuire all’artista tedesco Gunter Demnig, che nonostante i suoi 72 anni, gira ancora tutto il mondo per posare di persona le Stolpersteine nelle strade.

In Italia l’inizio del nuovo anno ha portato con sé buone notizie e qualche Pietra d’inciampo in più. Le ultime sono state poste, venerdì scorso (10 gennaio) a Bologna.
Quest’ultime hanno un significato ancora maggiore, dal momento che sono le prime per il capoluogo emiliano. 

L’artista Gunter Demnig a Bologna.

Il caso di Schio:

Nonostante numerose siano le città italiane aderenti all’iniziativa, c’è chi ancora non ha piacere di condividere questa modalità di ricordo delle vittime.
È il caso del comune di Schio (VI), che a novembre ha bocciato una mozione in cui si chiedeva la partecipazione a questa iniziativa.

Il sindaco di Schio, Valter Orsi, si difende in questo modo nell’intervista del TgR Veneto: “Le Pietre d’inciampo non sono l’unico modo per ricordare” e ancora “rischiava di accendere una miccia che non si è mai spenta in questa città”. 

Ad essere indignati non sono solo gli spettatori davanti al televisore, ma anche il presidente della comunità ebraica veneziana, Paolo Gnignati, profondamente amareggiato per questa scelta. 

Certamente, come espresso dal sindaco, questa non è l’unica città che ha disdegnato di partecipare al progetto o l’unico modo per ricordare le atrocità avvenute nei confronti delle vittime. 

La “Scelta”:

Tuttavia, Liliana Segre, in una conferenza a Milano, invita a fare la “Scelta”, a scegliere tra il bene e il male e a non avere paura, perché è proprio questa che porta gli uomini a fare cose orribili. 

Perciò il fatto di non partecipare a questa iniziativa, come a tante altre, rischia di lanciare un messaggio sbagliato, ossia quello di bocciare ottime proposte, così da non infastidire qualcun’altro.
Oggigiorno non ci dovrebbero essere ancora divisioni riguardo a proposte, che mirano a diffondere giustizia e pace.

Dunque l’augurio per il futuro è che il numero delle Stolpersteine continui a crescere e che, camminando per la strada, imbattendosi in una di queste, si possa per un attimo staccare la mente dalla nostra vita frenetica e rimanere in silenzio ad ammirarla. Cosicché si possa tornare a casa con la consapevolezza rinnovata, del fatto che l’odio continui ad essere la scintilla di un fuoco mai estinto.

Sara Albertini

Sara Albertini
Sara Albertini
Sara Albertini, marchigiana, classe 1999. Positiva, sognatrice, ostinata; la musica di Einaudi accompagna il flusso dei miei pensieri. Sono laureata in “Culture letterarie europee” presso l’Università di Lettere e Beni Culturali di Bologna e attualmente frequento un master in giornalismo a Bruxelles. Scrivo di costume e società per il blog di Sistema Critico con l’illusione che la scrittura possa migliorare il mondo in cui viviamo.

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