L’epopea del successo
Siamo nell’epoca, o meglio, del segmento temporale dell’epoca stessa più florido a livello di nascita di filosofie, scuole di pensiero, imprese, organizzazioni che studiano, approfondiscono, approcciano e insegnano il culto del successo e della realizzazione di sè. Difficile divincolarsi in questo mare di agenti fittissimi che muovono e si espandono a vista d’occhio.
Born in the U.S.A
Possiamo inquadrare il centro propulsore di questa massiccia diffusione dell’idea di successo negli USA. La patria dei self-made men, del sogno americano e della convinzione assoluta nei dogmi liberisti della libertà dell’individuo. Che cosa spinge sempre più persone in tutti al mondo a rivolgersi a questi “esperti della vittoria” per dare un’inversione di tendenza alle loro vite? Grandissimi comunicatori riempiono intere piazze, centri e palazzi di gente desiderosa di cambiare la propria vita, che pende dalle loro bocche. Questi guru si ergono a modelli di vita, spesso coniandosi come “ex-falliti” che hanno preso in mano le proprie esistenze e ne hanno massimizzato l’utilità.
“Credi in te stesso”
Il loro mantra vitale è la conoscenza di sè stessi. “Believe in yourself!”, “You can do it”, “Never Give up!” o “Change your life”. Motti altisonanti, rivolti a una platea di disperati che non hanno più niente in cui credere. Appare singolare come l’aumento della diffusione di questi fenomeni abbia coinciso con quello della moderna cultura mediocratica dell’estremo centro, in cui non esistono più pensieri, idee o valori, ma solo immagini sfumate di essi.
Nuovo mondo o vittoria utilitaristica?
Probabilmente il loro approccio non è sbagliato, ma c’è da riflettere su questa enorme capillarizzazione dei centri del successo, su come la nostra dimensione si sia ancorata inesorabilmente a questo morboso successo senza cui niente sembra avere senso. Una volta vi erano le idee, l’arte, il sapere le filosofie, e di questi fantasmi nessuno ha più interesse a essere riesumato. Potrà essere questa la vittoria definitiva dell’utilitarismo sotto le spoglie della “realizzazione di sè stessi”?