sabato, 20 Aprile 2024

Socialismo o barbarie: Rosa Luxemburg, la donna che sognò la Rivoluzione

Alla fine di un massacro degno di un crepuscolo degli dei, il corpo di Rosa Luxemburg fu buttato, come quello di un cane, in uno dei canali della Sprea che incrociano la Unter den Linden all’ombra del Municipio. La Rivoluzione aveva perso la sua Marianna, o la sua ondina.

Soprattutto aveva perso la sua grande occasione, e con essa lo stesso Marx perdeva l’aura di filosofo visionario e profetico che ne aveva fatto, fino ad allora, il messia degli oppressi. Ma un messia deve essere profeta, appunto, e la grande profezia di Marx fallì proprio nel momento in cui il corpo della povera Rosa finiva tra le acque ghiacciate della Sprea.

La previsione sbagliata

Aveva predetto fin dal primo giorno, Marx, che la rivoluzione proletaria avrebbe avuto luogo in uno dei paesi in cui il capitalismo era giunto a maturazione. All’epoca erano solo due, o al massimo tre, in tutta Europa: il Regno Unito o la Germania, e solo poi la Francia. Ma in Francia si preferiva, a quello scientifico, un socialismo romantico sul modello della Comune. Il Regno Unito aveva imbrigliato la classe lavoratrice nelle pastoie truffaldine dei fabiani e delle rappresentanze sindacali. Quanto alla Germania, la malattia del riformismo stava avendo da tempo la meglio sulla purezza intransigente del socialismo rivoluzionario massimalista. E contro questa degenerazione Rosa Luxemburg lottò anima e corpo fino al suo ultimo giorno che fu il 15 gennaio 1919, esattamente cent’anni fa.

Secondo Luxemburg infatti, la crisi del capitalismo era strettamente legata ad un imperialismo che, conquistando sempre nuove aree di mercato attraverso il militarismo, a un certo punto si sarebbe trovato privo di possibilità di espansione: in questa situazione, e di fronte alla rivoluzione proletaria, il crollo del capitalismo sarebbe non solo stato possibile, ma necessario e inevitabile. La transizione dal regime capitalistico al socialismo, per Luxemburg, non sarebbe però potuta avvenire mediante il dibattito parlamentare, ma soltanto per via rivoluzionaria, attraverso la sollevazione spontanea delle masse. Le riforme sociali erano dunque solo un mezzo della lotta della socialdemocrazia e la rivoluzione restava il suo scopo finale. “Socialismo o barbarie” disse, usando un’espressione poi diventata celebre: quando il capitalismo crollerà, l’alternativa sarà il socialismo o l’anarchia.

Spartaco alla guerra

A Berlino quella donna di grandi studi e brillante intelligenza era giunta vent’anni prima, esule dalla sua natia Polonia, all’epoca ancora spartita tra russi tedeschi ed austriaci. È facile immaginare che gli uomini dello zar, spedendola oltre confine, volessero fare un’opera e due servizi: togliersi di torno la ribalda arruffapopoli e contemporaneamente destabilizzare il neonato Reich bismarckiano. I tedeschi avrebbero restituito il favore nel 1917, piazzando Lenin su un treno piombato e rispedendolo, da Zurigo, a San Pietroburgo ad assalire il Palazzo d’Inverno e realizzare la Rivoluzione nonostante il Capitale.

Per quella data, comunque, Rosa aveva già fondato la sua Lega di Spartaco insieme all’altra testa calda che era Karl Liebknecht: ala estremista di un partito socialdemocratico altrimenti dominato da Eduard Bernestein, revisionista di Marx, e da colui che Lenin non a caso definiva “il rinnegato Kautsky”, teorico ufficiale del partito e figura di peso nella politica europea. Gente che, al momento buono, aveva mandato all’aria il principio dell’internazionalismo proletario per votare in parlamento la legge sui crediti di guerra in favore del Reich e del suo Kaiser. E fu per questo che Rosa e Karl, nel nome di un pacifismo che affratellava gli oppressi, decisero di fare la guerra agli oppressori. Non si trattò di sabotaggio, ma di qualcosa forse peggiore: predicazione della giustizia proletaria. Si dice che i due predicassero il vangelo della riscossa dal palco di una birreria: quanto bastò per passare in galera buona parte della Grande Guerra.

La Grande Illusione

Nel 1918 il Reich si dissolse, il suo Kaiser fuggì e i comunisti della KDP (Rosa Luxemburg dirigeva in quel momento “Bandiera Rossa”, il quotidiano del partito) sentirono odore di rivoluzione nel nome dei soviet, dei soldati e dei contadini. In fondo, la Germania non era il paese a sistema capitalistico più avanzato?

Si sbagliavano: a Berlino presero il sopravvento i socialdemocratici, che di fronte al caos politico non esitarono ad appoggiarsi alle destre. Fu così che una manifestazione di protesta organizzata dagli spartachisti contro la rimozione del capo della polizia socialdemocratico vide i socialdemocratici (estremo paradosso) liberare contro i loro fratelli della sinistra una muta di mastini assetati di sangue chiamati Freikorps: si trattava di reduci della guerra che erano andati, come molti Avanguardisti italiani, ad ingrossare le fila dell’estrema destra.

I cosiddetti “moti spartachisti” durarono una decina di giorni, e furono giornate di sangue. I Corpi Franchi non fecero prigionieri, anche perché gli spartachisti non stettero lì a farsi massacrare inermi. Le cronache raccontano di violenze efferate tra vicini di casa, amici d’infanzia, berlinesi contro berlinesi. Una guerra civile fulminea e feroce che fece da prologo a molte violenze successive. E non si tratta solo della creazione dei soviet in Sassonia, Turingia e Baviera: se a Monaco, poco dopo, in un’altra birreria un tale Adolf Hitler tentò un Putsch, fu anche per via delle battaglie nella Mitte di Berlino. Se in Turingia fu istituito il primo lager è anche perché a Sachsenhausen vi furono per primi reclusi i compagni di lotta di Luxemburg e Liebknecht. Seguiti dai socialdemocratici, rei di essersi messi nelle mani delle destre estreme.

Lungo il fiume nell’acqua

Liebknecht aveva trovato la morte in un falso trasferimento verso il carcere di Berlino: lo eliminarono nel parco del Tiergarten. Della Luxemburg si è detto. Ma non si può non notare che il canale dove fu buttato il corpo, vicino al municipio che aveva fatto occupare nel momento più alto della sua rivoluzione sfortunata, attraversa un parco. E lì chi vuole può ancora scoprire, nascosto pudicamente dagli alberi, un monumento a Marx ed Engels: l’unico rimasto al suo posto dopo l’altra rivoluzione, quella del 1989. Come se il vecchio profeta, definitivamente sconfitto dalla Storia, fosse rimasto ad aspettare, seduto accanto al suo miglior amico, l’arrivo della donna che sarebbe stata la sua Ipazia.

 

Alessandro Laloni
Alessandro Laloni
Mi sono laureato in Lettere classiche a Bologna ed attualmente studio Scienze storiche. Sono il nipote che durante i pranzi con i parenti non riesce a non parlare di politica.

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