sabato, 27 Aprile 2024

Burocrazia non fa rima con democrazia

Quando sentiamo parlare di burocrazia pensiamo immediatamente a montagne di moduli da firmare e ad ore passate in uffici polverosi, magari per scoprire che non erano quelli a cui dovevamo rivolgerci.

Purtroppo, il suo potere non si limita a farci passare le giornate in file inutili ma soffoca, come un rampicante, la libertà individuale e collettiva fino, in casi estremi, ad ucciderla.

Si è perso il senso della parola burocrazia

I grandi apparati burocratici hanno una lunga storia, che ha visto accrescere il loro potere soprattutto in età moderna. Gli stati nazionali nel formarsi hanno creato una marea di leggi, permessi e procedure per regolamentare attività che fino ad allora erano libere. Questo fu indubbiamente fatto per uno e un solo scopo: aumentare il controllo statale sulla vita prima dei sudditi e poi dei cittadini. Questo atteggiamento dei governanti, che da una parte garantisce la sicurezza ma dall’altra limita la libertà, continuò per qualche secolo, ma qualcuno ebbe da ridire.

Nonostante con il tempo si sia neutralizzata, inizialmente la parola burocrazia (derivante da bureau “ufficio pubblico” e kratos “potere”) aveva un’accezione molto negativa. È stata infatti coniata dall’economista Vincent de Gourmay intorno al 1750 per simboleggiare un governo gestito da insensibili legislatori e forze dell’ordine che non si preoccupavano delle conseguenze delle loro azioni.

Oggi il termine burocrazia è (ab)usato da tutti e ci dimentichiamo il suo senso originario, ma il conflitto fra controllo statale (con l’alibi della sicurezza) e la libertà è ancora forte nella società, anche se non ne parla nessuno.

Il linguaggio antidemocratico

Gli uffici pubblici sono, per loro natura, luoghi frequentati da un grandissimo numero di persone. Per questa ragione la lingua usata dagli impiegati e nella modulistica dovrebbe essere semplice, accessibile quindi a tutti.

Eppure, l’esperienza ci insegna che non è così; il linguaggio tecnico dei burocrati è estremamente complesso rispetto ai contenuti, che nella maggior parte dei casi si potrebbero spiegare esprimere facilmente.

In un articolo apparso su “Il Giorno” il 3 Febbraio 1965, Italo Calvino lo ha definito l’antilingua e l’ha criticato pesantemente. Secondo l’autore, il linguaggio burocratico “esclude sia la comunicazione […] sia la profondità espressiva” e crede che “se […] la spinta verso l’antilingua non si ferma ma continua a dilagare, l’italiano scomparirà dalla carta linguistica d’Europa come uno strumento inservibile”.

Il burocrate vuole distinguersi dalla massa plebea e lo fa aggiungendo al messaggio una sfilza senza fine di elementi non necessari e non richiesti: tecnicismi collaterali, eufemismi, acronimi, espressioni ridondanti e tanto altro.

Questo modo di fare rende complicata agli utenti la fruizione di servizi pubblici ma ha anche gravi conseguenze sociali e culturali. Sul piano sociale l’effetto più eclatante è la percezione delle istituzioni come qualcosa di lontano e talvolta di inutile. Sul piano culturale l’italiano “tecnologico” e freddo tipico del neocapitalismo sta sostituendo l’italiano umanistico e creativo; per utilizzare una metafora di pasoliniana memoria, Milano sta sostituendo Firenze nella genesi della lingua.

La burocrazia come strumento di ordine, anzi di repressione

Conosciamo tutti l’articolo 17 della costituzione italiana che sancisce il diritto di manifestare liberamente. In Italia non è infatti necessaria l’autorizzazione della questura per un presidio o un corteo ma solamente un preavviso alle autorità.

Lo stesso articolo 17 spiega che le manifestazioni possono essere vietate “soltanto per comprovati motivi di incolumità pubblica”.

La non autorizzazione dovrebbe quindi essere un’eccezione, ma una deriva autoritaria della gestione delle proteste l’ha fatta diventare la regola. Ad oggi è più che comune che i percorsi dei cortei siano stabiliti dalle questure e spesso vengono richieste pratiche burocratiche assolutamente inutili e a ben vedere neanche obbligatorie per legge.

Voglio fare un esempio per chi non si è mai trovato in simili situazioni. Qualche tempo fa mi è capitato di organizzare un sit-in in occasione dello sciopero per l’ambiente indetto da Fridays For Future e un ragazzo si era proposto di suonare alcuni suoi pezzi accompagnandosi con la chitarra.

Io e gli altri organizzatori gli avevamo detto che l’idea ci piaceva, perchè certo non immaginavamo che gli uffici comunali non ce lo avrebbero consentito. Ci fu sostanzialmente detto che il nostro era pubblico spettacolo e avremmo dovuto chiedere dei permessi che può richiedere solo un’associazione registrata, oltre a pagare una discreta somma di denaro per valutazioni tecniche varie.

Dietro a questo episodio c’è, a mio avviso, una interpretazione errata della legge. Ma il punto è un altro, se non giuridicamente, un divieto del genere è sbagliato almeno moralmente. E la mia esperienza non è un’eccezione, basta pensare alla multa fatta al pranzo di Natale per i senzatetto a Milano. Insomma: tutti sono liberi di manifestare il proprio pensiero ma nelle forme e con i mezzi che il potere vuole vengano utilizzati.

Conclusioni

In Italia parlano di burocrazia soltanto i liberali perchè la considerano (giustamente) un ostacolo alla libertà economica. A ben vedere però l’eccesso di burocrazia può diventare un limite anche per la libertà politica e civile dei cittadini, oltre che rendere complicato l’uso di servizi pubblici.

Una delle sfide dei politici di oggi deve essere quella di cambiare il funzionamento dell’amministrazione pubblica affinché sia un aiuto ai cittadini e non un organo di controllo. Questo senza cadere nel sentimento anti-statale di Milei e degli ultraliberisti, di cui abbiamo già parlato in altri articoli.

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