lunedì, 29 Aprile 2024

Centri migranti italiani in Albania: come aggirare un problema

Lo scorso 6 Novembre è stato siglato un accordo migranti tra Italia ed Albania. I rispettivi Premier Giorgia Meloni e Edi Rama parlano di solidarietà e cooperazione. Il patto, che dovrebbe essere implementato nella primavera del 2024 per una durata di 5 anni, ha lasciato non poche perplessità.

Edi Rama e Giorgia Meloni, rispettivamente Premier albanese e italiano, firmano a Palazzo Chigi l'accordo sui migranti il giorno 6 Novembre 2023.
Firma dell’accordo migranti a Palazzo Chigi. (credit: @corriere.it)

Di cosa si tratta?

L’accordo, ancora da rifinire ed approvare, prevede l’utilizzo del suolo albanese per sbrigare le procedure di arrivo dei migranti. In particolare, il porto di Shengjin verrebbe utilizzato per lo sbarco e l’identificazione, mentre l’area di Gjader, a 20 km, per la creazione di un centro di accoglienza temporanea per l’attesa della valutazione delle richieste di asilo.

Secondo le indicazioni emerse negli scorsi giorni, le navi italiane, non quelle delle ONG, porterebbero parte delle persone dirette alle coste italiane in Albania. Le strutture di accoglienza previste avrebbero una capacità massima di 3.000 persone e permetterebbero quindi di trasferirvi fino a 36.000/39.000 migranti all’anno.

Un primo elemento a suscitare perplessità è il fatto che questa procedura non sarebbe possibile per soggetti vulnerabili, tra cui donne in gravidanza e bambini. Ciò sottintende che lo spostamento, potendo nuocere particolarmente a determinate categorie di migranti, è sicuramente un ulteriore ostacolo per persone solitamente reduci da viaggi estenuanti.

Ulteriori questioni emergono poi sui limiti giuridici dell’accordo. L’Albania si limiterebbe infatti ad “offrire” il proprio territorio, mentre sarebbe l’Italia a mantenere interamente il carico dei costi dell’accoglienza e la giurisdizione sugli immigrati. Si tratterebbe, quindi, di un’area in cui le autorità albanesi non avrebbero potere, tranne nel caso di particolari emergenze. Allo scadere del tempo massimo di permanenza, l’Italia garantirebbe l’allontanamento dal centro albanese.

Come si può decidere dove e per quanto spostare delle persone da un Paese all’altro senza violare i loro diritti? Dove verrebbero diretti coloro la cui richiesta di asilo all’Italia non venisse accettata? Quali accordi dell’Unione Europea potrebbero essere violati dall’esternalizzazione della gestione dei migranti?

Queste sono alcune delle domande sollevatesi, in particolare dai partiti di opposizione del governo italiano. Anche la Commissione Europea ha chiesto maggiori dettagli sull’accordo per verificare eventuali controversie.

Le lacune dell’UE sul tema migranti

La narrativa di Meloni e Rama ha chiaramente chiamato in causa la mancanza di una gestione comune ed efficace dei migranti da parte dell’Unione Europea.

“Possiamo dare una mano e aiutare a gestire una situazione che, lo vedono tutti, è difficile per l’Italia. Quando si entra in Italia, si entra in Europa, nell’UE, ma quando si tratta di gestire questa entrata come UE sappiamo bene come vanno le cose”

Edi Rama, Premier albanese

Il Sistema europeo comune di asilo (CEAS), nonostante dia tutte le necessarie linee guida per procedure comuni nella gestione degli arrivi, ancora oggi non garantisce una equa distribuzione dei compiti e delle responsabilità. Questo è principalmente dovuto al prevalere degli interessi nazionali, che impediscono di riformare profondamente il Regolamento di Dublino.

Sulla base della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di rifugiati, il Regolamento di Dublino III è l’ultima versione adottata nel 2013 dagli Stati membri dell’Unione Europea.

Il principio che si è rivelato maggiormente problematico nella gestione dei flussi migratori è quello dello Stato membro di primo ingresso. Lo Stato attraverso il quale un migrante entra il territorio dell’Unione Europea è, secondo questo principio, quello incaricato di esaminare la domanda di asilo. I Paesi a cui sono dirette la maggior parte delle rotte migratorie hanno quindi estrema difficoltà nel garantire una gestione rapida ed efficiente delle procedure.

Ad aggiungersi alla chiara opposizione a riformare dei Paesi Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia) è stata la mancanza di una linea comune dei governi del Mediterraneo. Questo è emerso anche nel 2017 con l’ultimo tentativo di riforma da parte del Parlamento Europeo.

Nel 2020 la Commissione Europea ha presentato il “Patto sulla migrazione e l’asilo” mirando alla sua totale implementazione prima delle elezioni europee del 2024.

Tra le principali innovazioni vi è l’introduzione di un meccanismo di solidarietà, che i Paesi possono richiedere di attivare in caso di troppa pressione per gli arrivi. Se accettata l’attivazione i membri dell’Unione Europea sarebbero vincolati a contribuire al ricollocamento o rimpatrio, ridistribuendo più equamente la responsabilità.

Anche con l’implementazione del Nuovo Patto, però, rimarrebbero alte probabilità di stalli politici che impedirebbero la sua effettiva azione.

Ancora interessi nazionali

Dalle dichiarazioni di Meloni e Rama l’accordo migranti sembra essere frutto di una cooperazione disinteressata. Diversi dubbi sono però emersi rispetto alle sue mire strategiche.

Nonostante l’Albania dovrebbe solamente “prestare” il suo territorio ad autorità italiane, questo comporterebbe comunque un suo coinvolgimento nella questione. Le basi legali del documento sono, infatti, quelle maggiormente critiche. Basti pensare, ad esempio, all’eventualità di un intervento delle autorità albanesi in caso di uscita delle persone dal centro di accoglienza.

È difficile quindi comprendere le reali motivazioni che spingono un Paese, seppur in buoni rapporti con l’Italia, a condividere il peso e la responsabilità di tale gestione.

Negli scorsi giorni la narrativa delle due parti è risultata piuttosto provocativa nei confronti dell’Unione Europea. L’Albania è Paese candidato all’adesione dell’Unione dal 2014 ed ha ottenuto la prima conferenza intergovernativa nel 2022. L’Italia potrebbe quindi aumentare la pressione per la sua adesione, data la sua disponibilità a cooperare in un area così sensibile per l’Unione.

“non solo l’Albania si conferma una Nazione amica dell’Italia ma anche una Nazione amica dell’Unione europea. Perché nonostante non sia ancora formalmente parte dell’Unione Europea […], si comporta esattamente come se fosse già uno Stato Membro di fatto dell’Unione.”

Giorgia Meloni, dichiarazione alla stampa, 6 novembre 2023.

Inoltre, il progetto ha chiaramente dei costi non irrilevanti. L’Italia dovrebbe versare circa 16.5 milioni di euro solamente per il primo anno entro 90 giorni dalla sua implementazione. Si prevede quindi un costo complessivo di oltre 80 milioni di euro.

L’accordo deve ancora essere valutato sia dalle istituzioni dell’Unione che da quelle nazionali. In ogni caso non sembra avere elementi particolarmente innovativi, ma piuttosto ricalca il modello di esternalizzazione delle frontiere europee già tentato recentemente ad esempio con la Tunisia.

Come hanno dimostrato tali tentativi, le problematiche nella gestione migranti e nella garanzia dei loro diritti sembrano risiedere altrove. Sarebbe piuttosto necessario raggiungere riforme effettive del sistema comune europeo, così da ridistribuire la responsabilità e i costi dell’accoglienza nel rispetto dei diritti internazionali ed europei.

Mirna Toccaceli
Mirna Toccaceli
Attualmente studentessa del corso magistrale European and International Studies, presso l'Università di Trento. Mi piace informarmi ed informare su ciò che accade nel mondo, confrontando più prospettive. Nelle pause dai libri viaggio: se non posso fisicamente, lo faccio con la mente mettendo un paio di cuffiette.

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