giovedì, 02 Maggio 2024

Il carcere italiano: tra dis-umanità e mala-educazione

Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione  – Voltaire

Associare i termini carcere e civiltà è ad oggi, ossimorico. Più in generale, di carcere e di detenuti non si parla o, perlomeno, lo si fa davvero poco, spesso in concomitanza di eventi eclatanti come il caso Cospito o il caso del carcere di Santa Maria Capua Vetere. È una realtà spesso temuta e ignorata anche a causa della stigmatizzazione sociale verso i detenuti. La situazione nel carcere italiano è ad oggi disastrosa e, soprattutto, incompatibile con il nostro testo costituzionale.

La responsabilità penale è personale.[…] Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato – Art. 27

Il carcere italiano: tra dis-umanità e mala-educazione
Carcere di Regina Coeli, Roma – Fonte: Reuters

Detenzione e diritti umani

In primis, è necessario affrontare il tema del rispetto dei diritti umani nella realtà carceraria. Già nel 2013 la Corte europea per i diritti umani aveva condannato il nostro Paese per la violazione dell’art.3 della CEDU, il quale vieta ogni “trattamento o pena disumano o degradante”. A quasi dieci anni di distanza, nel 2022, il Comitato UE per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa ha nuovamente rilevato la grave situazione nelle carceri italiane. Dal report, pubblicato a marzo di quest’anno, emerge come i problemi principali siano quelli del sovraffollamento, le denunce di violenza e intimidazioni da parte della Polizia penitenziaria, l’inefficienza del supporto psicologico e la necessità di un approccio specifico di genere per le donne detenute. 

Il tasso di affollamento reale, stando al report 2023 di Antigone, è al 119%. Questa situazione rende pressoché inefficienti le cure mediche e il supporto psicologico che vengono forniti; basti pensare che a fine 2022 si contava un educatore ogni 80 detenuti. Questo problema assume poi anche la forma dell’emarginazione se si tiene conto della grave carenza di mediatori e traduttori. C’è, infine, il problema delle violenze e maltrattamenti ai danni dei detenuti, che occorre affrontare prontamente: ad oggi ci sono più di 200 persone tra indagati, imputati e condannati e fin troppo spesso ci sono stati casi in cui il personale medico ha dovuto rispondere di omissioni nei referti relativi a questi casi. 

Rieducazione e risocializzazione

Riprendendo la Costituzione, “le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ciò significa che lo Stato ha il compito di accompagnare il condannato in un percorso, durante lo svolgimento della pena, che lo metta in condizione di reinserirsi nella società al termine di questa e di non commettere nuovi reati. Il fallimento di questo compito emerge molto chiaramente se si analizzano i dati relativi alla recidività: al 31 dicembre 2021, il 62% dei detenuti era alla seconda carcerazione, il 18% aveva diversi periodi di reclusione alle spalle e solamente il 38% era alla prima detenzione. 

Che fare, quindi?
È necessario fornire concrete possibilità di recupero sociale che implicano un lavoro di collaborazione con le risorse del territorio; a partire, nei casi in cui sia possibile, dalla famiglia, ai servizi pubblici, al volontariato, fino al mondo del lavoro. Considerando però la presenza esigua delle imprese sociali all’interno delle carceri e le risorse limitate che il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria destina al reinserimento in società dei detenuti, questi obiettivi sono ancora piuttosto lontani. Tutto ciò viene ulteriormente aggravato dal problema sistemico precedentemente trattato: il sovraffollamento

Una realtà dimenticata

Com’è possibile, quindi, che questa realtà disumana susciti un pressoché minimo scalpore? Nella società contemporanea c’è sicuramente un alto tasso di stigmatizzazione verso il reo, nei confronti del quale viene provato un forte senso di repulsione e insicurezza. Il detenuto perde ogni elemento di umanità e la sua condanna prende, così, il posto della persona. Su questi sentimenti, che generano molti consensi, cavalca poi la politica elettorale. A tal proposito sono esemplificative le dichiarazioni rilasciate da Matteo Salvini davanti alle violenze di massa dell’aprile 2020 a Santa Maria Capua Vetere. Viene quindi istintivo porsi la questione se la pena carceraria risponda più ad una volontà vendicativa, rispetto al fine rieducativo a cui dovrebbe tendere.

Una realtà alternativa

Alla luce di tutto ciò, il carcere è davvero la principale istanza a cui ricorrere? La risposta è no. Una soluzione potrebbe essere, ad esempio, l’implementazione di misure alternative. In Italia ne esistono di tre tipologie: l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la semi-libertà. Se implementate, queste, sarebbero funzionali sia a diminuire il tasso di affollamento che la recidiva. 

Stando all’ultimo report di Antigone, a più della metà dei detenuti sono rimasti da scontare meno di tre anni di carcere. In questi casi, specialmente per reati lievi, il ricorso a misure alternative contribuirebbe fortemente, oltre che al problema del sovraffollamento, ad avviare un percorso di risocializzazione efficace.

«non si combatte il sovraffollamento delle carceri depenalizzando (…) credo che la certezza del diritto dipenda anche dalla certezza della pena» 

Affermazioni come questa, pronunciata da Giorgia Meloni nell’ottobre 2022, non trovano fondamento: proporre misure alternative corrisponde a depenalizzare solo nel momento in cui si concepisce il carcere come una realtà disumana e disumanizzante.  

In definitiva, queste misure dovrebbero essere inserite in una più ampia politica che inverta la tendenza carcero-centrica e renda umana la realtà detentiva. 

Elisa Vannucci
Elisa Vannuccihttps://www.sistemacritico.it
Classe 2001. Studio Scienze Internazionali e Diplomatiche all' Università di Bologna; mi piace osservare le persone attorno a me e imparare da loro cose nuove. Sono molto pragmatica e testarda, appassionata di buona cucina e sport acquatici; non a caso sono romagnola.

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