lunedì, 04 Novembre 2024

La tragedia greca oggi. Modernità di un teatro “antico”.

Da un mondo vecchio quasi 2500 anni, con un fascino innegabile anche per i moderni, il viaggio nella tragedia ateniese, nonostante il velo di mistero che circonda la sua origine, è ancora oggi un’esperienza nella politica, nella religione e nella società. Ma anche e soprattutto nell’educazione.

Il canto del capro

Alzi la mano chi non è mai stato a teatro almeno una volta nella vita. Dagli appassionati irriducibili ai semplici curiosi, è molto probabile che a molti sia capitato di assistere alla rappresentazione di una tragedia greca, in chiave originale oppure rivisitata. All’alba del XXI secolo, infatti, il teatro degli antichi continua a mantenere un fascino indiscutibile per i suoi temi, per i suoi personaggi, per la sua genialità.

Una genialità che ha origini misteriose e affascinanti. La nascita della tragedia è ancora oggi uno degli argomenti che assilla maggiormente gli storici della letteratura greca. Il motivo principale è dato dalla scarsità delle fonti al riguardo. Uno dei più grandi storici dell’antichità, Erodoto, afferma nelle sue Storie che gli inizi della tragedia greca potrebbero essere connessi alle cerimonie funebri per gli eroi caduti mentre il filosofo Aristotele riporta come il δραμα (“drama” parola greco che esprime il “fare” un’azione teatrale) sia legato ai cori in onore del dio Dioniso, più precisamente al cosiddetto ditirambo, il coro in onore del dio.

Per quanto riguarda la derivazione del termine vero e proprio, la parola tragedia potrebbe essere assimilata al τραγος (tragos), il capro, una delle raffigurazioni più comuni del dio Dioniso. Un vero e proprio “canto in onore del capro”. Anche coloro che facevano parte del coro, infatti, venivano vestiti da satiri, esseri mitologici metà uomo e metà capra.

I satiri nella tragedia greca

Dalle origini…..

Ovviamente la tragedia greca non nasce fatta e finita. La fucina poetica molto probabilmente si trovava nella zona del Peloponneso, come suggeriscono le tracce del tipico dialetto dorico rinvenibili nelle opere più antiche. Nella Poetica di Aristotele si discute a lungo sulle prime prove di abilità dei compositori, legate per la maggior parte all’arte del saper improvvisare e ad una durata molto breve della rappresentazione.

E i personaggi? Un’altra questione estremamente affascinante sulla quale si concorda un po’ di più. Secondo la maggior parte degli studiosi, infatti, la tragedia greca vera e propria sarebbe nata nel momento in cui il capocoro, detto corifeo, si sarebbe allontanato dal resto coro per dialogare con gli spettatori, assumendo la funzione di un vero e proprio personaggio. Di lì in poi la storia sarebbe cambiata con l’introduzione delle parti dialogate.

Si arriva così alla prima data precisa, il 534 a.C., anno in cui sarebbe stata messa in scena la primissima rappresentazione della tragedia greca dal poeta attico Tespi. Lo spostamento dal Peloponneso alla regione dell’Attica aveva infatti cambiato le carte in tavola. Sotto il tiranno Pisistrato poi, gli agoni teatrali furono istituzionalizzati nelle Grandi Dionisie, una ricorrenza che cadeva nel mese marzo in onore di Dioniso. Durante questo periodo la città di Atene sceglieva tre poeti che dovevano presentare quattro opere ciascuno, tre tragedie e un dramma satiresco. Al termine di questa gara il tragediografo vincitore riceveva la corona d’alloro, un premio in denaro e la gloria eterna.

….ai grandi capolavori

Si arriva così alla più alta magnificenza del teatro antico, le opere dei grandi maestri Eschilo, Sofocle e Euripide. Il primo, secondo le fonti, avrebbe regolamentato il dramma, introdotto il secondo attore e l’usanza di produrre delle trilogie di tragedie. Particolare, poi, la profonda attenzione per la religione ed il rispetto degli dei. Il secondo avrebbe introdotto un ulteriore personaggio nella trama e accentuato le caratteristiche umane dei personaggi tramite l’uso, per la prima volta, delle scenografie. Nonostante sembrino piccole innovazioni, queste permisero ad Eschilo di conseguire molteplici trionfi. L’ultimo e più grande tra i tragediografi, infine, si distingue dagli altri per una grandissima attenzione al sentimento umano, per la perdita di importanza del coro ma soprattutto per il grandissimo realismo con cui viene dipinta la psiche umana. I personaggi sono in perenne conflitto con se stessi e con il mondo, prede di impulsi irrazionali e di tormenti irrisolvibili.

In questo calderone di innovazioni, trame ed esplorazioni dell’umano tra il 472 a.C., anno della pubblicazione dei Persiani di Eschilo, e il 406 a.C., quando viene messa in atto quella che è considerata la tragedia greca per eccellenza, le Baccanti di Euripide, il teatro greco mostra le sue più grandi prove. Si possono citare, tra le altre, la trilogia Orestea di Eschilo (Agamennone, Coefore, Eumenidi), l’Edipo re di Sofocle e l’Ippolito di Euripide.

Le Baccanti di Euripide

Moralità, ma anche praticità

Ma perché, dunque, la tragedia greca mantiene un’attrattività particolare anche per i moderni? Molti sono i motivi, per la maggior parte riassumibili in una sola parola: educazione. Il teatro greco era e rimane fondamentale per l’educazione del cittadino, quella che gli antichi chiamavano παιδεία (paideia). Un’educazione morale si, ma anche e soprattutto pratica, dalle piccole attività del singolo ai grandi temi di governo della comunità.

Questo teatro non si può considerare, dunque, una semplice rappresentazione, ma il riflesso di una città. Un riflesso innanzitutto religioso (non si dimentichi l’importanza del sacro, sia per quanto riguarda il periodo di svolgimento degli agoni che per la centralità dell’altare del dio). Un riflesso di democrazia, dal momento che chiunque poteva parteciparvi. Anche le donne e gli schiavi, così come i poveri, che venivano incentivati tramite un fondo speciale della città, chiamato Teorico.

Uno strumento di propaganda efficacissimo quindi, che insegnava a riconoscere e a trattare i temi fondamentali della vita civica, come la giustizia e la vendetta. Esso rappresenta inoltre un tentativo di indagine psicologica ante tempore. Il cittadino era chiamato a riflettere sulla condizione umana e sui sentimenti. Lo spettatore, immedesimandosi nel mito e prendendolo come esempio, poteva essere purificato e assumere un superiore grado di saggezza. Tramite le gesta (e soprattutto la morte) dell’eroe della tragedia greca, lo spettatore scopre gli alti ideali della città e li fa propri, abbandonando i suoi sentimenti di tracotanza ed egoismo.

Valori con una validità universale, ammonimenti per una giusta vita nella civiltà assimilati attraverso il dolore.

Chi necessita del tragico?

Alla luce di quanto appurato quale utilità può avere al giorno d’oggi la riscoperta dei classici della tragedia greca? Un insegnamento di alti valori? Certo sarebbe un aiuto non da poco in un’epoca in cui la sovrabbondanza di informazioni lascia molto spesso spazio ad un relativismo assoluto.

Tuttavia essa trova anche uno scopo più “terreno”. Come ha scritto infatti in un suo recente libro il professor Giuseppe Zanetto

La tragedia è ‘pop’. Dunque non è strano che metta in campo storie forti, dove i sentimenti sono intensi e le posizioni chiaramente delineate. Noi tendiamo a cercare nelle tragedie la traccia di discussioni elevate, di dibattiti impegnati; questo non è sbagliato. Ma il pubblico è costituito dalla massa degli spettatori: le tragedie devono piacere alla gente, perché è il consenso popolare che assicura fama e successo.

Dal libro “Miti di ieri, storie di oggi” (2020)

Per essere efficacie, dunque, oggi come ieri la tragedia greca non deve essere solo rappresentazione di alti ideali o un campo di discussione per gli intellettuali. Deve invece trovare un suo spazio nella vita del cittadino di tutti i giorni, nelle piccole cose, prima ancora che nelle grandi tematiche. Il rinnovamento, la progressione e l’educazione della società, come sempre, passano attraverso la riscoperta delle sue radici. Lo avevano capito i Greci nel V secolo a.C., e non è che avessero troppo materiale su cui basarsi. Si spera che due millenni di progresso abbiano aiutato a valorizzare una volta ancora le opere di questi grandi tragediografi.

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Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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