venerdì, 04 Ottobre 2024

Le streghe di Roald Dahl non fanno paura

Le streghe di Roald Dahl non fanno paura

O meglio le streghe paura la fanno a chi ha sette anni e teme l’ombra di artigli aguzzi o di poter essere, in un sol colpo, trasformato in un topo. Fanno paura perché sono streghe e si sa che i bambini se li mangiano a colazione. Ma le streghe di Dahl non dovrebbero spaventare gli adulti, perché sono streghe e le streghe non esistono. Come non esistono orchi e diavoli, ma gli esseri umani.

Eppure l’ombra delle witches dahliane intimorisce chi ha fatto della parola il suo mestiere, si è allungata fino a bussare sulla spalle delle case editrici, oscurando gli scaffali delle librerie. Le streghe terrorizzano con il loro vocabolario che odora di vecchio, di politicamente scorretto. Fanno paura perché oggi si ha paura di fare paura. Si teme che la parola dattilografa possa forse influenzare giovani menti brillanti, come se a sette anni si abbia la consapevolezza di tale mestiere. O che si abbia mai visto una macchina da scrivere.

Forse si ha paura di turbare i neo genitori, avviluppati in un nuovo universo linguistico e nozionistico che richiede una capacità funambolica di destreggiamenti educativi. Forse si vuole evitare di farli incappare in conversazioni difficili, delicate, potenzialmente triggeranti. E così nuove mani si sono prese la responsabilità di smussare gli artigli e fare meno paura.

Censura o premura?

La scelta editoriale della Puffin Book di apportare alcune modifiche al testo de Le Streghe di Roald Dahl ha generato una discussa polemica sull’etica dei rimaneggiamenti. La motivazione addotta dalla casa editrice parla di un labor limae volto ad una strategia di vendita: avvicinare l’opera quanto più possibile alle future generazioni. Da questo punto di vista non posso esprimermi del tutto contraria: dopotutto l’essenza della traduzione interculturale si manifesta nell’abilità di saper rendere un testo al massimo della sua comprensibilità per il pubblico di riferimento.

Lo stesso Dahl, su consiglio del proprio editore, apportò alcune modifiche, comprendendo, in parte, che il suo punto di vista bianco, occidentale, privilegiato non sarebbe stato condiviso da ogni lettore. D’altra parte il costante flusso di nuove traduzioni di celebri classici non vuole di certo attentare all’integrità degli originali, quanto più di evolvere un testo parallelamente allo sviluppo della lingua corrente. Non credo dunque che la Puffin debba essere tacciata di censura, ma il confine è labile. Il come l’intervento testuale sia stato basato più su una volontà di eliminare tracce “scomode” che di compiere una vera evoluzione linguistica stona alquanto. Si è forse peccato di eccessiva premura?

La copertina originale de Le Streghe illustrata dal celebre collaboratore di Dahl, Quentin Saxby Blake

Streghe: donne o invenzioni di fantasia?

Il nucleo fondamentale dei rimaneggiamenti della Puffin conta esempi dove la volontà di “contemporaneizzare” il tono del libro è lapalissiana finendo, a mio parere, in incappare in forzature anacronistiche.

Per chi non fosse a conoscenza della trama, lasciate che ve la riassuma in poche parole.

Un bambino, il cui nome non sarà mai specificato, viene costantemente messo in guarda dalla nonna per quanto riguarda le Streghe, perfidi esseri amalgamate perfettamente nella società, che tramano di divorare tutti i bambi del mondo. Piuttosto incredulo, il nostro protagonista dovrà ricredersi quando, per caso, si trova ad assistere alla segretissima riunione nazionale delle fantomatiche streghe. Queste vestite, truccate e adornate come donne in carriera svelano sotto parrucche, guanti e tacchi orrende teste calve, artigli aguzzi e piedi squadrati. L’epilogo agro-dolce conferma le streghe come nemesi giurate dei bambini.

Ed è proprio sulla figura della donna che si è voluto intervenire. Una delle correzioni maggiormente citata dalla critica è il passaggio che definisce le streghe donne lavoratrici quali “segretarie” e “cassiere” tramutato nell’aggiornata versione in “grandi scienziate” e “a capo di un’attività“. Così come l’estratto “Non voglio parlare male delle donne. In genere sono tutte adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto” è stato espunto dell’ultimo periodo.

Mi viene spontaneo chiedermi se l’educazione al femminismo possa passare tramite il depennamento di tali esempi. L’equità di genere si può dire raggiunta se in un libro degli anni ’80 vediamo segnato che una donna è una grande scienziata?

Fino a dove

L’intento del mio articolo non è di biasimare l’operato della Puffin, la quale ha adottato una scelta di marketing ben comprensibile, volendo continuare a vendere le opere di Dahl. Ma mi sorge il legittimo dubbio del “Fino a dove è etico spingersi?“. Non ritengo che depurare opere di decenni passati, da elementi non più condivisibili culturalmente, sia la migliore scelta educativa. Si potrebbe creare un precedente rendendo lecito assimilare a libri degli anni ’60 concetti contemporanei. Evirare la letteratura del suo riflesso socio-culturale rischia di creare una trappola utopistica. In questo modo si priverebbero le future generazioni di una spinta analitica verso i contenuti consumati. Che valore hanno assunto questi rimaneggiamenti testuali? Sono davvero veicolo di cambiamento? Non sarebbe forse meglio concentrarsi sulla produzione di opere nuove focalizzate sull’inclusione, il femminismo, il consenso, l’identità di genere piuttosto che scomodare autori deceduti per accomodarli all’odierna sensibilità.

Il pericolo di attuare modifiche su espressioni di una mentalità passata consiste nel privarci di un confronto essenziale per progredire. Le letteratura per l’infanzia non deve divenire una purga di testi passati, ma un’occasione di dialogo, di insegnamento, dove è discrimine del genitore scegliere di acquistare un libro di Dahl o meno, conscio del suo approccio per alcuni versi datato.

La medicina contro le streghe: il coraggio dei bambini

Ho adorato Le Streghe di Roald Dahl, come ho amato Matilda e Danny il campione del mondo. E poi Il GGG, la cui protagonista porta il mio nome, Gli Sporcelli e Il dito magico. Ho adorato ognuno di questi libri perché raccontavano il coraggio e l’inarrestabile forza dei bambini di fronte a spauracchi reali o fantastici. Mi ispiravano sogni al sapore di cetrionzolo e di cioccolata. Mi hanno fatta sentire forte e a non vergognarmi se preferivo seppellirmi tra i libri. No le streghe non mi fanno paura e non ho mai pensato che tutte le donne fossero tremende fattucchiere. Pensavo soltanto quanto sarebbe stato avventuroso sconfiggere il comitato mondiale delle streghe a colpi di pozione magica per poi volare via un ascensore di cristallo. Tutto pur di non ritrovarmi con una coda da topo.

Sofia Paolinelli
Sofia Paolinellihttps://www.sistemacritico.it/
Classe 1997. Laureata alla magistrale in Lettere Classiche attualmente lavoro in campo editoriale. Classicista con ambizioni interdisciplinari provo un amore sconfinato per i panorami scozzesi, i musical e il cinema hollywoodiano degli anni '50. Attualmente in possesso di circa una ventina di quaderni su cui periodicamente scrivo piccoli racconti. Per il blog mi occupo della sezione di cinema e letteratura.

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