venerdì, 13 Dicembre 2024

Leonardo Sciascia: quel colpo di penna che fugò i soprusi

Cento anni fa veniva al mondo, in un paesino in provincia di Agrigento, l’autore che più di ogni altro ha fatto della sua penna la sua arma, il suo strumento di indagine contro i grandi problemi del secondo dopoguerra: Leonardo Sciascia.

“Lo stato italiano deve combattere la mafia con la faccia del diritto, non con la faccia di chi è un doppione della mafia”

Nasce a Racalmuto e compie studi all’istituto magistrale laddove conosce Vitaliano Brancati, suo professore e modello culturale e di antifascista. Dalla Guerra di Spagna, come Elio Vittorini, si schiera contro il regime, avvicinandosi al comunismo, ma con tendenze eretiche, similmente a Pier Paolo Pasolini. Dopo una lite con i colleghi del PCI, si unisce ai radicali, scontrandosi violentemente contro lo stato italiano. Romanziere, saggista, giornalista, la sua intera produzione è volta alla critica ed a un’accurata indagine del sottobosco politico dell’Italia. Secondo Sciascia, infatti, la politica è sempre altrove.

La Sicilia di Sciascia

In Sciascia convive un legame intimo e assoluto con la Sicilia, diventando essa lo sfondo della sua produzione letteraria. Per lo scrittore la letteratura siciliana si fa paradigma della  letteratura italiana, quindi universale. In questo contesto si scorgono le contraddizioni profonde che si celano nella regione e nei suoi abitanti, un conflitto che spiega le condizioni ataviche della mafia e dell’antimafia.

<<Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma…»

Da L. Sciascia Il giorno della civetta, Torino, Einaudi, 1961

L’autore ha in sé due componenti: lo spirito illuminista e Giufà, maschera della tradizione orale siciliana, lo sciocco astuto nemico dell’obbedienza. Risente però dell’ingombrante parabola di Pirandello, anch’esso agrigentino, e pietra miliare del panorama culturale italiano. Sciascia se ne distacca, diventando egli stesso l’emblema della letteratura impegnata e ideologicamente schierata, la quale, senza paura, si pone come missione il disvelamento dei raggiri e delle manovre illecite dell’Italia degli anni ‘60. 

Nel celebre saggio La corda pazza, Sciascia parla di sicilitudine. L’opera, il cui titolo è tratto da Berretto a sonagli di Pirandello, indaga quella Sicilia contraddittoria, ambigua, ma al contempo lucida e razionale. La sua patria.

La produzione letteraria

Sciascia, esordisce nel 1950 con una raccolta, Favole della dittatura, che attirano l’occhio di Pier Paolo Pasolini, il quale recensisce l’opera e sarà un suo estimatore.

Con Le parrocchie di Regalpetra (1956) e Gli zii di Sicilia (1958) lo scrittore dà prova del suo spirito illuminista, offrendoci la condizione dei siciliani, nel dopoguerra.

Il giorno della civetta

“Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà…”

Da L. Sciascia Il giorno della civetta, Torino, Einaudi, 1961

Il giorno della civetta è il primo romanzo che parla schiettamente di mafia. Edita nel 1961, quando l’argomento è ancora taciuto e celato nell’ombra, sebbene le organizzazioni malavitose siano ancora di matrice rurale, contadina. Esse infatti prenderanno piede in città solo negli anni ‘70, con l’ingresso della droga. La mafia è definita dallo stesso Sciascia un impazzimento: da un fenomeno di delinquenza razionalizzata essa si è radicata come una fitta ragnatela, dalla quale è impensabile trarne coerenza.

«come la civetta / quando di giorno compare».  

Così recitano le battute dell’ Enrico IV di Shakespeare, da cui è tratto il titolo. La mafia infatti, prima di acquisire potere agiva sonnambula durante le ore notturne, ora si palesa alla luce diurna. Ovviamente, l’opera riscosse critiche e suscitò scandalo, poiché nonostante l’argomento scottante, Sciascia non mancò di denunciare aspramente la corruzione politica. 

Segue Il consiglio d’Egitto, un romanzo storico riguardante l’impostura dell’Abate Vella e le rivolte giacobine si Francesco Paolo di Blasi sullo sfondo di una Sicilia nobile e signorile di metà 700.

A ciascuno il suo, romanzo dal titolo parlante che rivela l’impossibilità del genere giallo nella società italiana.

Il giallo dell’autore non è mai volto allo smascheramento dell’assassino, bensì la pura verità si cela nell’indagine, essa sola rivela il marcio dei perfidi raggiri. Egli non vuole consolare, vuole dimostrare.

Sciascia, nei suoi prodotti di finzione si avvicinò al Neorealismo, soprattutto nelle descrizioni del modus vivendi dei suoi personaggi e dei luoghi, estraniandosi dagli sperimentalismi del suo tempo, specialmente dalle Neoavanguardie. La scrittura è pulita, razionale, priva di virtuosismi, similmente allo stile di Calvino e Pirandello. 

La lotta politica

Dal 1970 inizia ad occuparsi attivamente di politica. Già dal ‘71 con Il contesto e più tardi con Todo Modo egli non risparmia colpi. Nel primo romanzo condanna i gruppi eversivi e le loro azioni terroristiche, nel secondo attacca duramente la Chiesa.

Come già citato si iscrisse al PCI di Palermo, del quale divenne segretario nel 1975 ma a causa di liti interne passò ai radicali. Ed è proprio con questi ultimi che Sciascia venne eletto al Parlamento, sia d’Italia che Europeo, scegliendo però il primo, poiché nella Commissione parlamentare d’inchiesta egli poté accedere alle carte ed indagare il terrorismo e il caso Moro. A proposito di quest’ultimo criticò aspramente “linea di fermezza”, ovvero il non aver trattato con le Brigate Rosse per il riscatto del prigioniero. Fu sempre contrario al pentitismo, un metodo che premiava sin troppo criminali in cambio di informazioni, spesso fallaci e a danno di innocenti.

La parabola politica e letteraria si concluderà il 20 novembre 1989 con la sua morte. 

Oggi, nel giorno del centenario è fondamentale riconoscere la statura di un intellettuale militante, che con la forza della sua scrittura ha lottato per l’Italia, per un paese libero dai soprusi, dalle ingiustizie, dalla mafia. Con quel colpo di penna non ha di certo risolto il problema che tuttora persiste, ma ha risvegliato le coscienze degli italiani.

Fonti tratte da Sciascia, l’impegno della ragione

Nikita Nanni
Nikita Nannihttps://www.sistemacritico.it/
Nikita Nanni, classe '99. Romagnola di origine e fuorisede a Urbino per studiare Lettere. Mi piace consigliare libri e farmi dire che sono belli, ho spesso lampi di genio e frequento il corso di teatro per placare il mio carattere agitato. Adoro tutto ciò che è frivolo, trash e glitterato e i gatti. Amo mangiare ma neanche a tavola riesco a stare zitta.

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