sabato, 04 Maggio 2024

Mos maiorum e contingenza. La “costituzione” romana come modello da imitare.

Dagli albori della monarchia alla deposizione di Romolo Augustolo la cifra stilistica della costituzione romana è una sola: la capacità di adattarsi all’evoluzione dei tempi, mantenendo però sacre le tradizioni e i valori degli antenati.

Costituzione, termine su cui riflettere

Nel tracciare le caratteristiche della costituzione romana è bene fare una precisazione, che giustifichi anche il virgolettato con il quale si presenta questo termine nell’intestazione. Parlando delle istituzioni romane, qualsiasi esse siano, il termine “costituzione” appare quantomeno inopportuno, se non altro nell’accezione utilizzata dai giuristi del secolo attualmente in corso. Essa infatti appartiene alle rivoluzioni istituzionali dei secoli XVIII e XIX, ed è frutto della compagine illuminista. Fatto questo distinguo, tuttavia, il termine può essere utilizzato nel suo significato di “ordinamento istituzionale”, ovvero l’insieme delle magistrature che caratterizzano uno stato.

L’attenzione lessicale non è oziosa questione, in quanto pone al centro un tema di straordinaria complessità, oltre che di non trascurabile bellezza. Il funzionamento della macchina statale romana, infatti, è questione dibattuta dagli studiosi sotto molti punti di vista. Primo tra tutti l’interrogativo che si pone pensando all’evoluzione della costituzione romana. Essa fu infatti di stampo prevalentemente conservatore o progressista? La risposta è semplice: entrambe le soluzioni possono essere considerate.

I valori dei padri, la tradizione dei figli

Fin dagli inizi della monarchia, ovvero quella commistione tra storia e leggenda che prende avvio con il tracciamento della cosiddetta “Roma quadrata” da parte di Romolo il 21 aprile del 753 a.C. e termina nel 510 a.C., quando Lucio Giunio Bruto ed il collega Collatino divengono i primi consoli della Res Publica con la cacciata di Tarquinio il Superbo, la costituzione romana nasce all’insegna della tradizione. È il cosiddetto mos maiorum, il “diritto dei padri”, che tuttavia non indica un ambito meramente giuridico ma tutto un insieme di valori. La fides, la maiestas, la pietas, la virtus e la gravitas creano un sistema che è insieme civile, religioso, familiare e personale. Il civis romano, di qualsiasi epoca sia, è chiamato a portare avanti questi valori e a conservarli.

Cincinnato, campione del mos maiorum

Questo sistema etico ha un risvolto molto importante anche sulle istituzioni stesse, prima della monarchia e poi della repubblica. La costituzione dello stato romano, infatti, ad un primo sguardo appare rigida, scolpita nella pietra ed estremamente poco propensa alle innovazioni o alle deroghe. Si pensi, per fare un esempio, al plebiscito Genucio del 342 a.C. con il quale venne vietata l’iterazione delle cariche per un magistrato prima che fossero passati 10 anni dalla conclusione dell’ultima carica. Un modo raffinato per preservare l’istituzione stessa da sconvolgimenti dovuti alla continuità di potere data ad una sola persona.

Tra commercio ed espansione militare

La prima impressione, tuttavia, inganna sempre lo studioso disattento. Non si dimentichi che i Romani, a differenza dei cugini greci, sono caratterizzati da una mentalità estremamente pratica e ben poco filosofica. Questo modo di pensare di fatto si declina in due ambiti, quello commerciale e quello militare, che hanno condizionato in modo importante l’aspetto progressista della costituzione di Roma.

Per fare un esempio attinente al primo ambito si pensi alla Lex Claudia de senatoribus del 218 a.C., con la quale lo stato vieta ai senatori o ai loro familiari di possedere navi mercantili per una portata superiore alle 300 anfore. In quegli anni, infatti, il senato stava prendendo sempre più potere a discapito delle altre classi sociali, come quella emergente dei cavalieri. Fu necessario dunque un intervento radicale sul libero commercio, nell’ottica appunto di preservare anche i valori del mos maiorum, che prevedevano una frugalità di sostanze e costumi ormai in decadenza.

Nell’urgenza, la rivoluzione silente

Ma è proprio nell’ambito militari che la costituzione di Roma dimostra il suo carattere progressista ed insieme conservatore. L’occasione paradigmatica è quella della seconda guerra punica contro la nemica giurata Cartagine, il cui più valente generale Annibale sta portando distruzione e panico nel territorio italico. Le vittorie al Ticino, al Trebbia e al Trasimeno hanno messo Roma in forte difficoltà e con la disfatta di Canne del 216 a.C. la città si trova estremamente a corto di uomini validi per far fronte alla minaccia incombente, in quanto la maggior parte dei generali e dei senatori sono stati catturati o uccisi.

La battaglia di Canne

È qui che la costituzione romana si sa adattare senza snaturare i suoi principi, è qui che diventa una vera e propria “fucina istituzionale”, secondo una definizione cara agli storici che si occupano di quel periodo, tra i più studiati dalla critica sia antica che moderna. Esso infatti risulta essere assai fecondo per quanto riguarda le possibili innovazioni della macchina statale romana a livello politico ed istituzionale. Gli anni 218-202 a.C., in particolare, sembrano ridefinire alcuni tra i più importanti istituti della politica e della società dellʼUrbe. Primo tra tutti il plebiscito Genucio sopracitato, il cui superamento consente di aggirare la costituzione con risultati importantissimi. Tra i tanti viene infatti nominato console per alcuni anni in successione la figura di Quinto Fabio Massimo, che risulterà essere decisiva per la vittoria finale.

Ma anche altri istituti come il cursus honorum, ovvero il percorso delle cariche che un politico romano doveva seguire per essere ammesso alle più altre magistrature dello stato, sono modificati. Ciò permette a dei giovani capaci di assumere il comando degli eserciti senza aspettare gli anni previsti dalla costituzione. Uno tra tutti il caso di Scipione, poi detto l’Africano in quanto artefice della vittoria decisiva di Zama.

Modello di costituzione per i posteri

In un momento di emergenza, dunque, la rigidità della costituzione romana diventa flessibilità senza eliminare secoli e secoli di tradizione. Questo avviene poichè i valori fondanti del mos maiorum rimangono alla base della vittoria romana sui Cartaginesi, e dello splendore dello stato romano in generale. Una lezione di modernità e tradizione che andrebbe mutuata anche dagli stati contemporanei. Non è un caso, forse, che gli storici antichi e moderni concordino nel definire l’ordinamento della Roma antica come un paradigma da cui prendere spunto. Da Polibio a Rousseau, la praticità ed il rispetto dei valori degli antichi trovano ancora oggi una grande applicazione.

Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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