mercoledì, 08 Maggio 2024

Scandalo per la famiglia Di Maio: il padre del ministro del lavoro pagava in nero i dipendenti

 L’intervista a Salvatore Pizzo, ex lavoratore nell’impresa edile gestita da Antonio Di Maio (padre dell’attuale ministro del lavoro, Luigi Di Maio) ha fatto non poco scalpore.                L’inchiesta, condotta dalla Iena Filippo Roma, è andata in onda nella puntata del 25 novembre durante il programma televisivo su Italia 1, “Le Iene”.

Non è certo la prima volta che il programma conduce inchieste su Luigi Di Maio ma questa volta la faccenda sembra rivelarsi inaspettata e sconcertante. 

Secondo le rivelazioni di Salvatore Pizzo, infatti, che ha lavorato presso l’azienda “Ardima costruzioni” nel 2009 e nel 2010, alcuni lavoratori non avevano un contratto regolare, tra cui lo stesso Salvatore.

La notizia probabilmente non sarebbe trapelata se Salvatore non si fosse ferito in quello stesso cantiere, provocandosi un taglio profondo al dito. 

Tuttavia la verità gli fruttò solamente un licenziamento da parte di Antonio Di Maio, che fu convertito in un contratto regolare per 6 mesi grazie all’intervento del sindacato dei lavoratori CGIL di Pomigliano d’Arco.

Trascorsi questi 6 mesi, Salvatore fu nuovamente licenziato e messo a tacere con una somma pari a 500 euro.

Nel corso dell’intervista l’ex dipendente si trova in disaccordo con il ministro Luigi Di Maio, che ha più volte ribadito l’onesta della famiglia e la rispettabilità del lavoro del padre. 

Di contro Di Maio risponde che non era a conoscenza di tali dinamiche e confessa un rapporto difficile con il padre in quegli anni.

Il ministro, ancora stupito da queste dichiarazioni, promette all’inviato Filippo Roma di discuterne con il padre e di presentare le relative carte la settimana seguente.

Nel corso della puntata del 27 novembre, tuttavia, si ripropone un servizio su questo caso ed emerge che altri 3 dipendenti dell’impresa edile “Ardima costruzioni” erano al tempo privi di un contratto regolare.

A questo punto il povero Di Maio, nuovamente messo alle strette, si dimostra disponibile a chiedere ancora una volta chiarimenti al padre circa gli sviluppi sul caso e non cerca scappatoie per difenderlo, ma anzi condanna questi suoi comportamenti.

Tuttavia, a seguito di queste interviste, si insinua il sospetto che anche il vicepremier abbia potuto lavorare in nero per la ditta del padre.

Questa ipotesi è smentita dallo stesso Di Maio durante la trasmissione DiMartedì: “Ho lavorato per l’azienda di mio padre regolarmente”.

Nel frattempo si parla dello scandalo su tutti i social e nei telegiornali, provocando le reazioni più variegate.

Nei social addirittura si diffondono vere e proprie “fake news” come quella: “Salvatore Pizzo, il lavoratore in nero presso la ditta di Antonio Di Maio, è in realtà un candidato del Pd!”.                 Questa notizia è stata smascherata quasi immediatamente dal sito web “bufale.net”, nonostante avesse già avuto più di 7000 condivisioni.

Dunque i simpatizzanti del Movimento 5 Stelle aspettano impazienti che Luigi Di Maio presenti le carte che attestano il suo lavoro regolare presso l’azienda di famiglia, mentre i nemici politici cercano in tutti i modi di affossarlo, approfittando dello scalpore della notizia.

In ogni modo è bene ricordare, come dice Filippo Roma nel servizio del 25 novembre relativo alla vicenda, che: “I comportamenti di un padre non devono ricadere su un figlio”.

In conclusione mi auguro che le vicende familiari e personali del vicepremier non si mischino con la politica e che notizie come questa non vengano strumentalizzate solo a tali fini.

Sara Albertini

Sara Albertini
Sara Albertini
Sara Albertini, marchigiana, classe 1999. Positiva, sognatrice, ostinata; la musica di Einaudi accompagna il flusso dei miei pensieri. Sono laureata in “Culture letterarie europee” presso l’Università di Lettere e Beni Culturali di Bologna e attualmente frequento un master in giornalismo a Bruxelles. Scrivo di costume e società per il blog di Sistema Critico con l’illusione che la scrittura possa migliorare il mondo in cui viviamo.

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