venerdì, 04 Ottobre 2024

Ultras, tra memoria storica e stigma sociale

Etichettati come teppisti e facinorosi, gli ultras sono spesso stati considerati la parte nociva del mondo del calcio. Nel corso degli anni, vari episodi li hanno visti colpevoli di atti vandalici, offese razziste e violenze nei confronti della tifoseria rivale o di atleti. E la società ha finito per ostracizzarli, condannandone spirito e iniziative.

Lo scorso 20 gennaio, in occasione del match tra l’Udinese e il Milan al Bluenergy Stadium, è dalla curva dei padroni casi che sono partiti ululati e commenti discriminatori all’insegna del portiere rossonero Mike Maignan. Avvisato dell’accaduto, l’arbitro di gara ha sospeso la partita per qualche minuto. Lo speaker dello stadio, come da regolamento, ha quindi richiesto ai tifosi responsabili di interrompere le offese. La vicenda ha destato scandalo nell’opinione pubblica, seminando – per l’ennesima volta – indignazione attorno alle modalità di tifo degli ultras in Italia.

Curva dell’Udinese, stagione 2023-2024

Se da un lato far parte di una curva di tifosi può dare adito ad atteggiamenti di questo tipo, dall’altro è altresì vero che gli ultras nascono con ideali ben diversi. Alla base di questo “movimento” ci sono valori ed esperienze che hanno garantito la sopravvivenza della sottocultura del tifo organizzato per oltre cinquant’anni. Ma come nasce questo stile di vita nel nostro Paese?

Sessantottini negli stadi

Sull’onda delle proteste giovanili, attorno al 1968 in molti stadi d’Italia iniziano a fare la propria comparsa i primi gruppi ultras. La genesi dei movimenti ha infatti luogo all’interno di un clima di contestazione creato dalle associazioni studentesche nei confronti dei propri padri. Centinaia di giovani scendono in piazza, decisi a “rottamare” quanto tramesso loro dalle generazioni precedenti. Il ’68 è segnato da plurimi episodi di violenza, che coinvolgono universitari e forze dell’ordine in varie città del Paese. Le rivolte popolari riflettono un fervore culturale, oltre che politico, e intendono rappresentare uno spartiacque storico rispetto al periodo antecedente.

La mentalità ultras inizia a germinare, dunque, all’interno di un sottosuolo caratterizzato da istanze di rinnovamento e propulsione alla ribellione, tipiche di questo momento. La medesima radicalizzazione che aveva permeato l’ambito della politica e della società, inizia a plasmare il modo di concepire il tifo allo stadio. Nel giro di poco tempo, migliaia di appassionati di calcio riproducono sugli spalti quello spirito di aggregazione che li aveva spinti a intraprendere le lotte in piazza. La fede politica e le aspirazioni sociali trovano un nuovo spazio di espressione sulle tribune delle arene italiane.

Fossa dei Leoni, Milano, 1970

Molti giovani pionieri del movimento ultras hanno negli occhi quanto accade sulle terraces in Inghilterra e nelle torcidas sudamericane. Gruppi di tifosi sempre più nutriti smettono di seguire la partita passivamente, e cominciano a dare vita a forme di tifo collettivo. A fare da capofila dei gruppi ultras in Italia è la Fossa dei Leoni del Milan, nel novembre del 1968. Inizialmente questi supporters si danno appuntamento in uno spicchio del secondo anello arancio. Nel ’72 colonizzano il primo blu e solo nel ’73 approdano nell’anello superiore, occupato tuttora dalla Curva Sud che ha raccolto il testimone dalla Fossa.

Nascono i primi ultras

In risposta ai cugini, nel gennaio del ’69 i tifosi dell’Inter danno vita al gruppo “11 Assi. Boys-Le furie nerazzurre”. Il collettivo prende origine da una formazione preesistente, l’Inter Club Fossati, e colloca il proprio striscione in corrispondenza dell’attuale Curva Nord, nel secondo anello verde di San Siro. Questi tifosi erano noti come i Boys, nome che prendeva le mosse dal protagonista di un fumetto pubblicato sulla rivista ufficiale della squadra meneghina. Nel ’75 fanno la loro comparsa allo stadio anche gli Ultras nerazzurri. Mentre nel decennio successivo si aggiungeranno anche i Viking e gli Skins, gruppi con una dichiarata ideologia di estrema destra.

Il 1969 è la volta anche dei supporters della Sampdoria, noti per essere stati i primi a definirsi “ultras” nel panorama calcistico del nostro Paese. Nel giro di pochi mesi dalla loro fondazione, gli Ultras “Sant’Alberto” cambiano nome in Ultras “Tito Cucchiaroni”, per tributo al campione argentino che li fece sognare in quegli anni. Sono giovani, per lo più originari di Sestri Ponente, e nel settore del Ferraris in cui si ritrovano ogni due domeniche sventolano grosse bandiere e accompagnano il gioco della squadra a ritmo di tamburi. Rivendicano di essere il primo collettivo con al proprio interno un gruppo ultras formato solo da donne.

Nello stesso anno ecco i Commandos del Torino. Fondato dal gruppo dei Fedelissimi Granata, risalente al 1951, è il primo di una serie di collettivi che sorgono nella curva Maratona negli anni ’70. Oltre alle ragazze delle Ultras Girls, in breve tempo fanno la loro comparsa in tribuna i Leoni della Maratona, la Gioventù Granata, gli Eagles e i Granata Korps. Artefici delle prime coreografie in Italia, i supporters piemontesi accompagnano i successi di quegli anni con strisce di stoffa, fumogeni e palloncini.

Ultras Girls del Torino, anni ’70

Un chiaro codice etico

Fin dalle origini, la priorità degli ultras è sempre stata quella di sostenere la propria squadra e portarla alla vittoria. Tale “deontologia”, tuttavia, ha spesso subito delle infrazioni, che hanno reso l’ambiente della curva il motore di violenze di vario genere. In diversi casi, infatti, la radicalizzazione del sentimento e la contrapposizione al rivale hanno generato dei corto circuiti tra alcuni membri del tifo organizzato, sia in Italia che all’esterno. Che hanno preso la forma estrema degli scontri, o anche dell’offesa a sfondo razzista.

Un sistema di regole non scritte, però, regolerebbe i rapporti tra gruppi rivali. O almeno così era in origine. In primis, il divieto di prendersela con chi non è un ultras o non è coinvolto in collettivi di tifo organizzato. Oltre a ciò, il rifiuto di armi o coltelli in caso di tafferugli esterni agli stadi. E ancora, “mai in dieci contro uno”. A riguardo, come scrive Valerio De Marchi nella prefazione al libro Fanatics di Dario Colombo e Daniele De Luca, «Finché si resta nell’ambito dei codici ultrà, la violenza si svolge secondo canoni ben definiti, che difficilmente superano i livelli della scazzottata». Valicando i limiti dell’auto-regolazione, invece, è probabile che si incorra in violenze che nulla hanno a che fare con la memoria storica del movimento.

Per quanto all’interno dei gruppi ultras capi e figure affezionate a questo stile di vita cerchino di segnalare l’importanza di certi ideali, in diverse occasioni l’irruenza e l’irresponsabilità di pochi ha finito per macchiare la nomea dell’intera curva di cui questi “cani sciolti” erano parte.

Alessandro Dowlatshahi
Alessandro Dowlatshahihttps://www.sistemacritico.it
Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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