sabato, 27 Aprile 2024

La ragazza selvaggia: Dasha, una questione di identità

La ragazza selvaggia, di Laura Pugno, è un romanzo di genere drammatico e vincitore, nel 2017, del Premio Selezione Campiello – Giuria dei Letterati. Il libro si apre con la figura di Tessa, nello specifico Teresa Santanera, scienziata occupata nella riserva naturale di Stellaria. Il fil rouge della trama è legato al personaggio di Dasha, scomparsa da bambina nel bosco e ritrovata da Teresa stessa. Il tentativo di rendere “la ragazza selvaggia”, Dasha, come partecipante attiva della collettività è fallimentare, rendendo atipici e non dialoganti natura e società.

Dasha, una timidezza selvatica

Dasha è figlia adottiva di Giorgio Held e sorella gemella di Nina Yelena. Da subito, fin dall’adozione, è sempre stata chiusa in una timidezza selvatica, dipendente dalla gemella Nina anche nel rapporto con un loro amico, Nicola. Nina, il suo mondo perduto quando non c’è, è ciò che attende sempre rinchiusa nella sua solitudine. Giorgio Held, al momento dell’adozione, aveva chiesto: «hanno subito degli abusi?»; la risposta di Guadi, nell’affidargli le due bambine ucraine, era stata affermativa. Nina è il mondo esterno di Dasha, il tramite, la voce traverso cui Nina parla con l’altro. Tuttavia, dalla simbiosi, crescendo, è scaturita la guerra: Dasha attendeva un mondo esterno che poi le andava contro. 

Giorgio Held e la “rieducazione”

In La ragazza selvaggia si stagliano tematiche plurime: il rapporto tra gemelle, il ruolo genitoriale, l’abbandono della madre Agnese in seguito alla scomparsa di Dasha. Quando lei viene ritrovata da Teresa non ha un’identità conforme al normo tipico; allora, Giorgio Held cerca di riportarla nei confini, di metterla in stanza con la sorella che al suo ritorno è in coma. E Giorgio Held non si da pace: vuole rimettere al loro ordine le cose, “normalizzare” Dasha e sperare in un risveglio dell’altra figlia. Che la ragazza sia una bestia o che non parli la loro lingua non importa. Che non sia destinata al milieu sociale neanche: è di nuovo destinata a essere accanto a Nina, ancora una volta.

Natura e società in antitesi

Dasha non si adegua, non si adatta allo stato “normale” della realtà. Divergente nella sua natura, è intrappolata nella mente della bambina che si era persa nel bosco, come parte di un ambiente altro e naturale. Quando è riportata nuovamente al bosco, Teresa si chiede se non l’abbiano rovinata nella costrizione a far parte del loro mondo, a darle il tocco dell’uomo. In un’identità che non è la sua, in una maschera sociale che ormai più le può appartenere, Dasha ritorna allo stato naturale delle cose, come fosse il buon selvaggio di Rousseau.

Dasha, linguaggio e diversità  

Il linguaggio è ciò che differenzia Dasha dagli altri: è muta e ristretta in sé stessa. Come selvaggia, non parla la lingua di chi la circonda, si rifiuta come animale di parlare la lingua degli uomini. Già da bambina si rifugia come spettro nel veicolo identitario che è la sorella gemella, Nina. Che il linguaggio sia portatore dell’identità e di ciò che è l’essere umano è un quesito atemporale. Migliorando nel fisico, ma astenendosi dalla relazione con l’altro, Dasha è come ribelle nel contesto sociale. Quando Giorgio Held tenta di “rieducarla”, fa bene? È veramente giusto rendere il diverso lo standard? Edith Stein parla di empatia quale riconoscimento di sé attraverso l’altro, come atto non originario in cui l’uno si mette nei panni dell’altro. Ed è ciò che fa Teresa, quando lascia Dasha libera nel bosco e dalla gabbia di ciò che è stato.

Francesca Garavalli
Francesca Garavallihttps://www.sistemacritico.it/
Laureata al corso di laurea "culture letterarie europee", a Bologna, dove si studia letteratura con un pizzico di français. Mai interrompermi durante una lettura, il resto della giornata, però, so anche essere gentile.

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